Antonio Musa Brasavola e la scuola medica ferrarese del Quattrocento
Nel momento in cui i Marchesi d’Este, per opera di Borso, si apprestavano ad avere riconosciuto dal Papa Paolo II il titolo di Duchi di Ferrara, l’affermazione della Signoria Estense si era già compiuta. Essa era avvenuta non solo politicamente ma anche attraverso iniziative culturali che facevano della città un vivace centro di sviluppo dei nuovi indirizzi di pensiero che si suole raggruppare ed identificare col termine di Umanesimo.
L’istituzione dell’Università nel 1391 non fu che uno dei passi che la Signoria intraprese dando ospitalità a uomini di scienza, letterati ed ecclesiastici che concorsero a illustrare il Casato. La fondazione dell’Arcispedale “S. Anna” nel 1440, sarà un altro importante passo su questa strada sul piano del prestigio, anch’esso sancito con Bolla papale, come per l’Università.
Esisteva già una Scuola medica ferrarese attraverso illustri predecessori quando la famiglia dei Brasavola diede i natali ad Antonio Musa nel 1500. Il nome, a detta dello stesso1 risulta essergli stato dato dal padre che si augurava probabilmente, in tal modo, un futuro glorioso per la carriera del figlio come quello di Antonio Musa, il medico di Augusto. Era famiglia di costruttori: ingegneri e architetti, pervenuti a Ferrara da altra zona del nord Italia: Lombardia o alto Veneto. Al momento della nascita di Antonio era stata da loro conquistata una eccellente posizione fra le famiglie più in vista, vicine alla Casa d’Este, con numerosi membri affermati nelle diverse professioni, fra cui soprattutto la medicina. Non risulta provato con certezza che esistessero origini più lontane della famiglia da Conti di stirpe germanica del XII secolo, come fu sostenuto nel 7002.
Antonio dimostrò tanto un precoce talento quanto una spiccata attitudine allo studio. Si sa che rimase precocemente orfano del padre e che questo lutto agì forse da stimolo nel suo impegno scolastico e nell’avvicinamento alla religione e al misticismo. Da una sua opera (Examen omnium catapotiorum vel pillolarum) sappiamo che la madre preoccupata per la sua salute lo sgridasse quando di notte lo trovava sveglio a studiare a lume di candela. Studiò Dialettica e si laureò giovanissimo in Leggi Civili e Canoniche; passò poi allo studio delle Arti Liberali quale era la Medicina, e divenne pochi anni dopo la Laurea Lettore di Pratica Medica nell’Università di Ferrara. Fu allievo di grandi maestri che insegnavano nella città. Fra questi principalmente Nicolò da Lonigo, detto il Leoniceno, e Giovanni Manardo che ispirarono le sue scelte giovanili nel senso di una propensione allo studio della filosofia naturale, oggi diremmo della Biologia, come base della Medicina.
È proprio alla originalità della Scuola Medica Ferrarese del Quattrocento e Cinquecento e all’importante ruolo svolto da Antonio Musa Brasavola3,4 che questa nota intende dare risalto rispetto a precedenti studi sull’argomento di impronta soprattutto umanistica5,6.
Prima del Leoniceno avevano insegnato e operato nella città due importanti medici venuti da altrove. Trattasi di Ugo Benzi, senese che passò a Ferrara il periodo più lungo della sua movimentatissima vita e di Michele Savonarola, nonno paterno del celebre Gerolamo, invitato da Nicolò III d’Este a venire da Padova ad insegnare presso la Università. Il terreno culturale su cui poté svilupparsi l’opera di questi importanti protagonisti della nascente scuola medica ferrarese fu reso possibile da due eventi di rilievo della vita della città: l’arrivo di Guarino Guarini, detto il Veronese, chiamato dal marchese Nicolò III a fare da precettore al figlio Leonello e il Concilio ecumenico di Ferrara del 1438.
Cominciò infatti con Guarino Veronese ad essere coltivato in modo speciale lo studio della lingua greca classica, fatto che diede preziosi risultati per una lettura diretta delle opere degli antichi maestri senza passare attraverso le traduzioni arabe, con gli inevitabili errori dei traduttori e compilatori. Quanto al Concilio, esso portò a Ferrara i maggiori esponenti del sapere greco, alcuni dei quali arricchirono l’Italia di numerosi codici originali. Ebbene, il Benzi, o Benci come chiamato da alcuni, eccellente grecista al punto da poter sostenere discussioni scientifiche in quella lingua con i padri conciliari fu uno dei primissimi assertori della futura medicina filologica, per cui la filosofia, e soprattutto la filosofia naturale, “non doveva scompagnarsi dalla filologia”: solo così, quindi, attraverso una lettura diretta delle opere si poteva cogliere il vero significato del pensiero degli antichi3,4.
Di scarsa affinità con questo indirizzo, anche se degna di rilievo per l’ampiezza delle conoscenze medico-naturalistiche di allora, fu l’opera di Michele Savonarola, improntata ad un impegno didattico non comune. Sue furono sia opere specialistiche, rivolte ai futuri medici come la Practica Major, che divulgative, in forma di dialogo, rivolte a tutte le donne, come il De regimine pregnantium, con cui venivano insegnate le regole da seguire in gravidanza e nella cura della prole. Anticipava con quest’opera una tendenza che permetterà nel secolo successivo un grande successo editoriale di questo genere nelle nuove pubblicazioni a stampa.
Da segnalare inoltre l’interesse di Savonarola per le speculazioni dottrinarie riguardanti le influenze astrali sul corpo umano e in particolare le caratteristiche psicologiche, mutuate da Pietro d’Abano. Medico e filosofo, è questi un personaggio complesso per la confluenza nelle sue opere di scienza e magia, avvolto in un alone di leggenda per scarsità di documenti riguardanti la sua attività. Influenzata da questi era quindi verosimilmente l’osservazione della interdipendenza dei caratteri psicologici e somatici nelle opere di Savonarola. Esse vanno lette tuttavia alla luce della dottrina ippocratica degli umori più che nel quadro di una psicosomatica “ante litteram”.
Gli ultimi anni di Michele Savonarola, come risulta dalle sue opere più tardive, furono dedicati alla riflessione sulla natura dell’animo umano e all’impatto di questo con la vecchiaia e la malattia. I rimedi da lui suggeriti per meglio affrontare queste problematiche della vita erano la religione, l’insegnamento e il rapporto con i giovani3,4.
Figure di notevole spessore erano dunque per motivi diversi Benzi e Savonarola, originale e innovativo il primo, più inserito nella tradizione il secondo, tuttavia prolifico docente aperto alla più ampia diffusione del sapere del tempo. La citazione del loro ruolo quali precursori di una Scuola Medica Ferrarese trova giustificazione nel riscontro operato da Münster di coglierne i tratti distintivi rispetto ad altri centri7 e nel cercare una certa continuità fra personaggi diversi dello stesso centro8.
Ferrara nel XV secolo era dunque con la sua Università ed il patrocinio della ambiziosa Signoria estense un fertile terreno per le innovazioni e non solo nel campo della Medicina. Rimanendo in questo ambito un ruolo del tutto particolare spetta a Nicolò da Lonigo, il Leoniceno che si inserisce nel quadro anzi tratteggiato dando un nuovo vigore con i suoi scritti allo spirito critico di cui i tempi erano allora permeati.
Non era sfuggito al Leoniceno che le annotazioni critiche di un manoscritto pliniano compiute da Guarino Veronese aprivano un varco nella acritica accettazione del pensiero medico-naturalistico dell’antichità. Da ciò nacque la famosa opera intitolata. De Plinii et plurium aliorum auctorum in medicina erroribus la cui prima edizione del 1492, a Ferrara, contribuì a fomentare per anni gli animi degli ambienti colti del tempo. Egli dedicò il primo libro all’amico Poliziano che però per la sua ammirazione verso gli autori classici non avallò le critiche di Leoniceno nei confronti di Plinio e gli altri medici famosi dell’antichità9.
Dalla lettura dei testi nella loro forma originale e dalla correzione degli errori della medicina dei barbari, gli arabi, si era andati oltre. Lo stesso spirito che aveva avviato quella operazione portava ora, dubitando di alcune affermazioni degli antichi maestri ad inventare una nuova medicina, senza strappi, in devota continuità col passato ma aperta al cambiamento. Quali fossero i semi gettati per la nascita di una nuova medicina ci è più facile discernere oggi, col senno di poi, dopo cinque secoli di evoluzione del pensiero medico osservando quel che è avvenuto nei secoli successivi: empirismo con lo studio dell’anatomia, esplorazione funzionale delle strutture, metodo sperimentale.
Spogliarci di questi giudizi – a posteriori – è dunque fondamentale per meglio comprendere quegli uomini di scienza totali del ‘400-‘500 per i quali spirito di osservazione, curiosità, amore del sapere erano finalmente perseguibili in un contesto di crescita economica e culturale.
Ritornando alle innovazioni del pensiero medico naturalistico di Leoniceno ricordiamo che fu suo allievo e successore nello Studio ferrarese Giovanni Manardo, le cui Epistoles medicinales sono ancor’oggi un capolavoro della letteratura medica. Il livello dei corrispondenti: Erasmo da Rotterdam per citarne uno, e il contenuto stesso delle lettere sono rivelatrici della loro particolarità, ed in definitiva del carattere di avanguardia dell’opera.
Altrettanto si rileva nelle Annotationes in cui si parla dei medicamenti semplici e composti ottenuti con le piante medicinali osservate, descritte e confrontate durante i viaggi all’estero, specie in Ungheria. In esse si è evidente come l’osservazione prevalga sulla speculazione ponendo i fondamenti della affermazione del metodo induttivo nel ragionamento scientifico.
Se dunque è indubbia l’influenza di Leoniceno e Manardo su Antonio Musa Brasavola, non è azzardato avanzare l’ipotesi che il successo personale ottenuto in vita da quest’ultimo abbia favorito una più ampia diffusione delle idee dei predecessori con una sua elaborazione personale e una prolifica produzione di opere scientifiche, più di quaranta.
Il Brasavola fu infatti molto vicino ad Alfonso I e poi ad Ercole II d’Este. Abbiamo testimonianza che fu richiesta la sua presenza in diversi importanti viaggi dove ebbe modo di dimostrare la sua preparazione e conquistarsi una fama tale da essere conteso da Papi e Imperatori per le sue consulenze5. Altri appartenenti alla famiglia Brasavola furono conosciuti e apprezzati oltre il Ducato per missioni rilevanti, ma nessuno come Antonio Musa ebbe riconoscimenti di così grande importanza.
Quella di Musa fu una generazione di medici: suo padre Francesco, i suoi figli Girolamo e Renato, il primogenito quest’ultimo che gli succedette nell’insegnamento presso l’Università. Una dozzina dei Brasavola esercitò la professione e l’insegnamento della medicina tra il quattrocento e il cinquecento. Centocinquant’anni dopo all’inizio del ‘700 la famiglia aveva perso sulla scena cittadina parte del suo tenore nobiliare tanto da ricorrere a iniziative, come il Commentario affidato al Baruffaldi2 (Fig. 1) per la ricostruzione genealogica e la apposizione della lapide ancor’oggi visibile all’ingresso di Palazzo Paradiso, che ricorda la gloria del grande Musa.
Non furono tuttavia le polemiche e le incongruenze storiche presenti in quei documenti puntualmente ricostruite dal Lazzari5 a sminuire la portata della notorietà raggiunta in vita da Musa Brasavola sia come docente che come medico pratico. Degno di nota che quest’ultima attività lo vide praticare con successo una tracheotomia, verosimilmente con la collaborazione di un barbiere nonostante la sua formazione più medica che chirurgica10. L’attenta lettura di Galeno insieme ai dettami della medicina ippocratica lo collocano infatti nel contesto storico del cinquecento. Indipendentemente da ciò, di rilievo risultano essere stati i suoi meriti sia sotto il profilo etico che culturale.
Sappiamo da quanto riportato da biografi che la mula, che connotava in quel tempo la condizione del medico, quasi come uno status symbol, era sempre pronta per farlo arrivare al capezzale non solo dei ricchi e potenti, ma di chiunque ricorresse al suo aiuto. Le ripetute visite di controllo per i pazienti critici, fino a tre al giorno, anche durante le ore notturne non erano eccezionali5.
Sulla passione trasfusa nell’insegnamento e sul suo disinteresse per le cose materiali si racconta che anche quando la sua casa prese fuoco non volle interrompere la lezione agli studenti. Alla moglie Cassandra aveva delegato tutte le spese della casa e sue personali e si dice che non portasse con sé denaro o altro oggetto di valore5. Fu scienziato famoso e virtuoso nella vita pubblica e privata. Il suo aspetto fisico ci viene narrato come contrassegnato da alta statura, viso aperto e ridente, belle fattezze, con una tendenza alla pinguedine nell’età matura. A 50 anni scriveva in una sua opera: “non cresco oramai se non in larghezza come un cocomero” (Examen omnium Trochiscorum) (Fig. 2).
La sua personalità risulta intrisa fin dalla giovane età da un forte spirito mistico e religioso5. Non fu estraneo al fermento che aveva portato alla Riforma prendendo posizione contro le degenerazioni di parte del clero e delle curie, ma fu fondamentalmente un moderato sia politicamente che culturalmente sottraendosi quando potè alle polemiche che animavano la vita pubblica del tempo. Nell’ultima parte della sua vita si schierò apertamente a favore della Compagnia di Gesù ed alla loro opera di mite convincimento degli eretici contrapposta a quella dei Domenicani6.
Venendo alla sua produzione scientifica, un posto particolare occupa la botanica farmaceutica, ovvero lo studio di piante ritenute medicinali, i cosiddetti “semplici” che potevano essere impiegati per preparare composti. Anche alcuni minerali erano ritenuti capaci di effetto magico-curativo. Paracelso, che studiò a Ferrara nella seconda metà del ‘500 elaborò in modo particolare questa pratica che aveva radici nel passato. Relativamente alle piante medicinali l’Examen omnium simplicium medicamentorum stampato a Roma nel 1536 (Fig. 3) fu forse l’opera che diede maggior fama a Musa Brasavola. Sappiamo che un importante medico del tempo il portoghese Giovanni Rodriguez, noto col nome di Amato Lusitano, archiatra del Papa Giulio III ebbe a dire: “Chiunque desidera avere conoscenza esatta di botanica o essere istruito nella scienza medica lo consiglio di andare a Ferrara, perchè i Ferraresi, favoriti da non so quale influsso celeste sono medici dottissimi e profondi conoscitori della natura”.
Nella preparazione di sciroppi, colliri, pillole ed elettuari lo imitò lo stesso Duca Alfonso I che oltre ad essere esperto nella fusione di metalli per le sue artiglierie, coltivava con passione attività artigianali, quali quella di tornitore e di vasaio. E per diletto si sperimentava anche nel preparare intrugli curativi “dal pessimo odore”5.
La Botanica era allora agli esordi come scienza; pur coltivata dai monaci da secoli e materia di esercizio dei “pharmacopola”, occupava solo marginalmente l’interesse dei “fisici” come attività curativa. In una sua opera (Examen omnium syruporum) Musa si pone apertamente in antitesi culturale, prima che scientifica con un anziano farmacista biasimandone il carattere maschilista6.
Verosimile è che una qualche competizione fra le diverse professioni si sia creata all’inizio dell’Età Moderna per l’evoluzione che si stava compiendo nell’ambito della Medicina. Nell’antichità si erano interessati di botanica farmaceutica Dioscoride, Theofrasto e Plinio, e pur con gli apporti della Medicina Araba le conoscenze, sebbene caratterizzate da valide intuizioni, erano spesso viziate da pregiudizi.
L’opera di Musa Brasavola va a questo riguardo giustamente apprezzata, non per i risultati, ma per l’ampliamento del tema studiato. “È certo che neppure la centesima parte delle erbe è stata descritta dagli antichi ma ogni giorno ne impariamo a conoscerne di nuove”: ebbe a scrivere5.
Alla curiosità si accoppiava lo spirito critico del tempo e soprattutto il carattere di sperimentatore che lo portò a testare sui condannati a morte i nuovi preparati salvando ad essi qualche volta la vita.
Dai manoscritti giunti fino a noi si ricava come i viaggi diplomatici cui partecipava fossero l’occasione per cercare nuove piante. E altre ancora erano ricercate per interessamento diretto del Duca Alfonso per farle pervenire attraverso i suoi agenti da luoghi lontani. Quale importanza avessero queste piante rare per Musa lo si ricava da una lettera del Duca ammalato che prometteva di far allestire per lui, una volta avvenuta la guarigione, un grande giardino: “ingens viridarium” , una sorta di orto botanico5. Sappiamo dai documenti pervenutici che furono effettivamente donati terreni a Musa per questo scopo e altri istituiti dal Duca su sua proposta sull’isola del Po identificata con il Belvedere. Risulta inoltre provato da un manoscritto di Aldrovandi nel suo Informazioni sul giardino pubblico che a Ferrara oltre a orti botanici privati e ducali erano presenti anche giardini pubblici dell’Università paragonabili a quelli di Padova, Pisa e Firenze11.
Da un’altra lettera, sempre di Alfonso I, sappiamo quanto questi sollecitasse il Brasavola a procurarsi tutti gli ingredienti per preparare la celebre triaca, panacea che doveva guarire tutti i mali; nel caso specifico la podagra del Papa Giulio III. Confezionata all’uopo dal nostro Archiatra nel 1552, fu inviata come esclusiva di un prodotto della ricerca ferrarese in materia. Per il figlio di Alfonso, Ercole II, Musa aveva preparato una bevanda alcolica chiamata acqua ardente che avrebbe dovuto prolungare la vita del principe, ma che non gli impedì di morire probabilmente per infarto cardiaco a 51 anni5.
Antonio Musa Brasavola, insieme a Manardo, fu uno dei primi a usare il Guaiaco o legno santo per curare la sifilide. Un posto particolare ebbe infatti per i suoi studi questa malattia sia per la diffusione che per esserne stati affetti esponenti di spicco del Casato Estense quali lo stesso Duca Alfonso I e prima di lui Leonello. In realtà a quel tempo le malattie veneree si confondevano sia nella terminologia che nella definizione esatta del tipo di patologia.
Dalla biografia del Castellani1, risulta il carattere d’avanguardia delle sue descrizioni dei “venereis morbis”: fu tra i primi, a sua detta, a descrivere i segni della lue: “primus omnium descripsit”. Egli distingueva tre specie semplici di sifilide: 1) la Scabbia Francese con sole pustole e croste, 2) i Dolori Francesi che provocavano esclusivamente i dolori e 3) i Tumori Francesi che si manifestavano attraverso tumori duri. La complessità della forma morbosa prevedeva quindi tre specie composte di sifilide: la prima con pustole, croste e ulcere accompagnate da dolori; nella seconda le pustole si associavano a durezze o tumori e infine nella terza erano presenti dolori e tumori duri.
In rapporto alla variabilità delle manifestazioni cliniche individuava poi 5 forme: Pellarola che causa la perdita di capelli, Dentarola che colpisce i denti e li fa cadere, l’Ungiarola fa perdere le unghie, l’Occhiarola fa perdere gli occhi e infine la Gonorrea12.
Sull’origine della malattia da trasmissione sessuale non c’erano dubbi anche se non si poteva ancora conoscere l’agente etiologico microbico; quel che lo faceva dissentire dall’ opinione diffusa, come ebbe a scrivere in una sua opera (Examen omnium Loch, Venezia, 1553) era l’origine divina del morbo, quale castigo per la lussuria umana. Con una sensibilità eccezionale confutò quella tesi con argomentazioni logiche raffinate che ci fanno apparire l’uomo prima che lo scienziato ancora una volta dotato di qualità particolari6.
Infatti, mentre tra il popolo era diffusa la convinzione che a causare la sifilide fosse stato l’accoppiamento tra una prostituta e un lebbroso, due esseri appartenenti alla famiglia del diavolo, Antonio Musa, scriveva in accordo con altri: “il morbo gallico incominciò per confricazione di oscene parti di donna, essendo presentato nell’accampamento dei francesi, nel 1495, carico di una venere nobilissima e bellissima che portava […] un ascesso putrefatto. Gli uomini che con lei si accoppiavano,[…] contraevano la prava affezione […]. Non si è mai visto nessuno che sia incorso nel male senza aver praticato l’affare.”13
Dalla documentazione raccolta presso l’Archivio Ducale di Modena da Bagni14 e da altre fonti risulta chiara l’opinione di M. Brasavola sull’impiego dei medicamenti a base di mercurio nella terapia della sifilide. Essa era da riservarsi solo ai casi ribelli alle terapie di prima istanza. Va sottolineata, a questo riguardo, la prudenza del medico attento agli effetti collaterali indesiderati dei farmaci. In ossequio alla ippocratica teoria degli umori ogni terapia iniziava con una energica purga e un clistere al giorno accompagnava molti trattamenti.
Sempre nell’ambito della attività di A. Musa Brasavola, come medico pratico, dobbiamo a Menini15 una recensione delle “Curationes A.M. Brasauoli” appunti su terapie di pazienti, destinate agli allievi, alcune delle quali conclusesi negativamente. Le diverse calligrafie dei 150 fogli fanno ritenere infatti che furono scritte dagli allievi sotto la guida del maestro. Esse colpiscono per lo scrupolo professionale ed etico che le pervade e per la metodologia didattica, diversa da oggi in quanto più attenta alla terapia che alla diagnosi, ma comunque degna di rispetto per l’acutezza dello spirito di osservazione ed entro certi limiti per la personalizzazione del trattamento curativo.
La morte di A. Musa Brasavola avvenuta nel 1555 non lasciò l’Ateneo ferrarese privo di valenti successori: G.B. Canano diede lustro con i suoi studi di anatomia ponendosi all’avanguardia come testimoniano la frequentazione dei Vesalio, e il suo allievo Gabriele Falloppio.
Il terremoto di Ferrara del 1570 e la devoluzione allo Stato Pontificio alla fine del secolo costituirono una battuta d’arresto di quei fermenti che avevano caratterizzato i due secoli precedenti.
Antonio Musa Brasavola non cessa dopo 500 anni di essere studiato in tutto il mondo16 per la rilevanza delle ricerche e per aver individuato e dato risalto a quelle tendenze che saranno alla base dei successivi sviluppi nel campo delle discipline mediche.
In suo ricordo a Ferrara gli è stata intitolata una strada e allo Ospedale “S. Spirito” a Roma un busto. Per i suoi meriti in campo botanico un genere di orchidea dell’America Centrale venne classificata in suo onore col nome di “Brassavola nodosa” (Lindsey, 1831).
La lapide in suo ricordo posta dai discendenti a 150 anni dalla morte nel volto di ingresso di palazzo Paradiso, ora Biblioteca Comunale Ariostea, e sede per molto tempo dell’ Università di Ferrara, ricorda dell’enorme prestigio di cui godette in vita Antonio Musa Brasavola e dell’essere stato un indiscusso protagonista della Scuola Medica ferrarese rinascimentale.
Articolo a cura (e per gentile concessione) di
Giorgio Cocilovo, Eleonora I. Belletti, Gioacchino Mollica
Università degli Studi di Ferrara
Accademia delle Scienze di Ferrara
Associazione “De Humanitate Sanctae Annae“, Ferrara
Bibliografia
1 CASTELLANI L., De vita Antonii Musæ Brasavoli commentarius historico-medico-criticus ex ipsius operibus erutus ab Aloysio Francisco Castellani philosopho, ac medico colleg. Ferrar Mantuæ publica auctoritate excudebat Joseph Braglia, 1767.
2 BARUFFALDI G., FARIAT B., Comentario istorico-erudito all’inscrizione eretta nel Almo studio di Ferrara l’anno 1704. In memoria del famoso Antonio Musa Brasavoli ferrarese già vivente nel secolo 16. composto da Girolamo Baruffaldi ferrarese .. In Ferrara per Bernardino Pomatelli impres. epis., 1704
3 PREMUDA L., La Scuola medica ferrarese attraverso i tempi. Gazzetta Sanitaria 1950; 1: 8-9.
4 RUBBINI C., La medicina ferrarese nel Rinascimento. Ferrara Viva 1960; 3-4: 53-64.
5 LAZZARI A., Uno scienziato Ferrarese del Cinquecento: Antonio Musa Brasavola. Atti della Accademia delle Scienze di Ferrara 1952; 29: 151-183.
6 BACCHELLI F., Antonio Musa Brasavola, Archiatra di Ercole II, Duca di Ferrara. Micrologus 2008; 16: 327-346.
7 MŰNSTER L.,: Ferrara e Bologna sotto i rapporti delle loro Scuole medico-naturalistiche nell’epoca Umanistico-Rinascimentale. Rivista di Storia della Medicina; 1966; 1: 3.
8 MŰNSTER L., La cultura e le scienze nell’ambiente medico umanistico-rinascimentale di Ferrara. In: Atti del convegno internazionale per la celebrazione del 5° centenario della nascita di Giovanni Manardo, 1462-1563. Ferrara, Università degli Studi di Ferrara. 1963, pp. 57-93.
9 SERRAI A, COCHETTI M., Storia della bibliografia: Bibliografia e Cabala, Le Enciclopedie rinascimentali (I). Bulzoni, 1988.
10 WILLEMOT J., Naissance et développement de l’ORL dans l’histoire. Acta Otorhinolaryngologica Belgica. 1981; 35 (suppl. 2): 273-5.
11 LUZZATO G., Orti botanici privati, orto botanico pubblico e semplicisti all’epoca dei Duchi d’Este a Ferrara. Atti dell’accademia delle Scienze di Ferrara 1951; 28:101-148.
12 BINZ C., L’introduzione della sifilide in Europa. Bologna, Dall’Olio. 1894.
13 QUETEL C., Il Mal Francese. Milano, Il Saggiatore. 1993.
14 BAGNI C., Antonio Musa Brasavola, Medico ferrarese del XVI secolo. In: Atti del primo Convegno Interuniversitario di Storia della Medicina. Ferrara, Soc. An. Tipografica Emiliana, 1941, pp. 5-11.
15 MENINI C., “Curationes A.M. Brasauoli”. Contributo alla conoscenza dell’opera di A.M. Brasavola come medico pratico. Rivista di Storia e Scienze Mediche Naturalistiche 1952; 2: 5.
16 HORNE P., Reformation and counter-reformation at Ferrara: Antonio Musa Brasavola and Giambattista Cinthio Giraldi. Italian Studies 1958; 13: 62-82.
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