Gardenio Granata, Apocalypse Now

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Gardenio Granata, Apocalypse Now

Da Platone ad Huxley ci è toccato leggere di tutto sull’utopia, e siamo oggi qui ad arrancare tra sogni proibiti e una realtà troppo spesso deludente. Ci hanno illuso proditoriamente regalandoci a buon mercato idee di eguaglianza, solidarietà, giustizia, fratellanza e quant’altro si dovrebbe rubricare sotto il titolo postmoderno di zavorra.

Religioni salvifiche la cui architettura poggia da sempre sull’inconsistenza di ogni progetto metafisico, giudizi universali validi per un esiguo numero di bonaccioni ai quali togliere le pantofole equivarrebbe ad un secco colpo di pistola in piano petto, ideologie interessate che hanno sciaguratamente trovato migliaia di adepti e da cui carnefici sempreverdi traggono il loro brutale passaporto per renderci questo straccio di vita vieppiù intollerabile. Le utopie non sono, come ci si è ingannati, rivoluzionarie, anzi esse riproducono una realtà pensata da un solo individuo in vena di evasioni e con il malcelato proposito di ergersi a “iudex” arrogante, lesto ai panni del moralista zelante e spettralmente conservatore.

Abbiamo nei secoli creduto a idoli di ogni tipo, ad una mitografia proliferante come l’occasionale mercante dei falsi sogni ha voluto. Ignavi, ci siamo inchinati a tutte le bandiere trascurando il piacere ed erigendo altari di pastafrolla al primo megafono travestito da umano. La psicanalisi degli stenterelli ci ha dato il colpo di grazia: nevrotici, depressi, ammutoliti e afasici a causa della nostra stessa noia, incapaci di rapporti umani, debilitati interiormente, superuomini risibili e falliti e superdonne convinte d’essere depositarie di una sessualità senza pari, ci rechiamo in questi costosi confessionali laici a vomitare le pustole di un’esistenza stracca e amara.

Ogni nostro desiderio è merce corrotta, se i nostri sogni nuotano nel limaccioso “marecage” della libidine, siamo rimasti sepolti da complessi edipici ingombranti, se riveliamo di essere attratti da qualsivoglia parte del corpo, eccoci trasferiti come appestati nella patologica galleria delle parafilie, e altre avventurate amenità che hanno contribuito ad incrementare un ipertrofico quanto ingiustificato senso di colpa. La nostra antica autostima ha cambiato nome e registro: ego delirante, narcisismo prevaricante, delirio di onnipotenza! E pensare che cercavamo solo di transitare indenni tra le fauci sanguinolente di una vita da reclusi piombataci addosso come un asteroide impazzito! Abbiamo scommesso tutto sullo spirito tralasciando la nostra essenza di carne, ululando nella notte il desiderio represso di banchettare, almeno “per intervalla”, in paradisi dove domina senza sciocca vergogna un eros incandescente!

Poi, improvvisamente, scopri che volevamo vivere nel paese dei balocchi! Censurato luogo infero, maledetto da benpensanti e stiliti dell’ultima ora, apocalittico serbatoio di inesausti piaceri; volevamo restare bambini non corrotti da programmi pedagogici banali e insultanti, liberare le pulsioni ataviche obliando quel buio senso del dovere di cui ogni società (la nostra in particolare) ci ha lasciato eredi in cambio di nulla. Questa moderna Gomorra un giorno, forse, verrà sommersa da un’enorme colata di virus ben miscelati e tutto sparirà inghiottito e agglutinato in un indistinto caos primordiale che i Soloni del futuro tenteranno bavosamente di spiegare con schiumante protervia moralistica.

Torna alla memoria la frase cinico-nostalgica di Taillerand quando durante il Congresso di Vienna sibilò che non avrebbe mai conosciuto i piaceri della vita chi non fosse vissuto al tempo dell'”ancien regime”; ebbene oggi possiamo ripeterla a proposito di questa sognata enclave ove “licet quod libet” (“è lecito ciò che piace”), dove il sonno della ragione non produce più mostri, ma una irrefrenabile sardana di godimenti di ogni tipo senza soluzione di continuità, capace di donare finalmente l’anestesia tanto agognata nelle misere giornate del nostro interminabile calvario di rinunce.

Non dubito vi sarà chi storcerà il naso scandalizzato, e bollerà questo scritto come paradigma di pericolosa “caduta” in una novella eresi. Del resto la madre dei filistei è perennemente gravida!! I maestri del ben predicare si riveleranno poi campioni indiscussi nel razzolare spudoratamente male, come il finale delle favole per finti adulti pretende…

Prof. Gardenio Granata
7 Febbraio 2001

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