Germanorum libertas
[…] regno Arsacis acrior est Germanorum libertas»1. Questa celeberrima frase tacitiana è qui usata come asse portante per una breve riflessione sulla libertas nel De origine et situ Germanorum liber2, opera monografica in 46 capitoli sugli usi e i costumi (culturali, economici, giuridici, politici e religiosi) delle numerose popolazioni germaniche, e sulla geografia dei territori in cui esse vissero e commerciarono, alla fine del I sec. d.C.
Roma al tempo della Germania
Publius (o Gaius) Cornelius Tacitus scrisse il De origine et situ Germanorum liber3 nel 98 d.C.4, un anno tormentato per le sorti dell’Impero romano: dopo «l’improvvisa e misteriosa»5 morte di Nerva, Traiano «divenne imperatore non in tempo di pace, ma di pericolo […]. Lo Stato era sull’orlo della rovina»6; vi erano ancora forti contrasti all’interno dell’establishment imperiale, causati dai perduranti effetti sia dell’assassinio di Domiziano sia della «contesa per la successione al potere imperiale»7.
La notizia della morte di Nerva trovò Traiano sul basso Reno, a Colonia, la principale città della regione. A prendere il suo posto nel comando della Germania Superiore aveva chiamato il suo fedele amico Giulio Serviano.
Se qualcuno si aspettava guerre o conquiste in Germania, le sue speranze andarono deluse. Non vi erano né necessità né pretesti per una campagna. […] Dopo aver preso le opportune disposizioni e nominato nuovi governatori nelle province danubiane, Traiano andò a Roma8.
Da quel momento in poi – nel giro di vent’anni – l’impero di Roma raggiunse l’apice della sua espansione territoriale, grazie alla mirabile gestione amministrativa, diplomatica e militare del nuovo imperatore e ad una poderosa «classe governante», le cui virtù tradizionali erano da sempre «la dignitas e la libertas», anche se la «loro forza e il loro significato reale erano mutati» rispetto ai tempi della res publica di Catone e degli Scipioni9. In realtà:
I nuovi uomini10 non avevano conosciuto la libertà; essi fecero carriera conformandosi al sistema imperiale; l’innata energia non avrebbe potuto resistere alle lusinghe del successo o alle abituali consuetudini di un sistema burocratico. Sotto la repubblica, l’aperta emulazione era stata preziosa e corroborante. La memoria di quello spirito perdurò nell’impero. Ma l’emulazione fu fiaccata dalla disciplina Caesaris, e la carriera di un senatore divenne alla fine un’occupazione di tutto riposo. La securitas prese il posto della libertas11.
Libertas e schiavitù
Proprio questo cambio di passo nella vita pubblica dei cittadini romani, assai familiare per il negotium dei magistrati e dei senatori, è uno dei principali temi trattati nel De origine et situ Germanorum liber, ora in maniera forzatamente velata, ora con una vis polemica degna di un acclamato oratore del Foro. A tal proposito, Sir Ronald Syme scrive:
L’idealizzazione del barbaro […] trovava alimento nell’insoddisfazione per la vita cittadina, dava colore e fondamento alle fantastiche descrizioni della virtù e della felicità primitive, con l’inevitabile nota di biasimo, aperta o velata, contro il lusso, le complessità del vivere, e la corruzione12.
Difatti, sono numerosi i passaggi del testo tacitiano in cui emergono vistose divergenze fra il modus vivendi dei Germani e quello dei Romani. Ad esempio, parlando dell’uso dei metalli preziosi presso le popolazioni germaniche, Tacito scrive: «Possessione et usu haud perinde afficiuntur. Est videre apud illos argentea vasa, legatis et principi bus eorum muneri data, non in alia vilitate quam quae humo finguntur»13. Questa loro genuinità è, oltre a ciò, insita in ogni aspetto della società e della vita quotidiana. Successivamente, in un costante crescendo di libertà ed onestà gratuite, Tacito, con una punta di amara ironia, afferma: «Illud ex libertate vitium, quod non simul nec ut iussi conveniunt, sed et alter et tertius dies cunctatione coeuntium absumitur»14.
Come se non bastasse, l’autore del De origine et situ Germanorum liber assesta un pugno al ventre dei suoi blasonati lettori proprio a metà della sua opera, al cuore pulsante del problema: «ceterum servis non in nostrum morem descriptis per familiam ministeriis utuntur»15.
La schiavitù è un tema spinoso da affrontare – peggio ancora se da risolvere – per la società imperiale romana16. Non è un caso, poi, se Tacito decide di trattarlo per ultimo, quasi volesse riservargli maggiore importanza, particolarmente quando dichiara:
«liberti non multum supra servos sunt, raro aliquod momentum in domo, numquam in civitate, exceptis dumtaxat iis genti bus quae regnantur. Ibi enim et super ingenuos et super nobiles ascendunt: apud ceteros impares libertini libertatis argumentum sunt»17.
L’Impero di Roma è esattamente come quelle tribù germaniche rette da una monarchia. In più è noto ai lettori del De origine et situ Germanorum liber la “rivoluzione sociale” realizzatasi nella “classe dirigente” dell’amministrazione imperiale: ora, appunto, la fides per la civitas ha lasciato il posto alla fides per l’imperator, l’unico sommo giudice dei cittadini romani.
Le virtù dei Germani e dei Romani
Lo storico Alain Michel, analizzando il De origine et situ Germanorum liber, attesta:
Tacito […] considera dunque successivamente l’uno dopo l’altro tre tipi di virtù: religio, fortitudo, fides – coraggio, religione, lealtà. Ciò facendo, si mostra fedele a una antichissima tradizione del pensiero romano […]. Ora avviene che queste grandi virtù storiche di Roma, non a Roma Tacito le osserva e le descrive, bensì in quella Germania ancora così rozza, così vicina allo stato di natura e dalla quale doveva venire il pericolo principale per un Impero infiacchito. I germani sono coraggiosi […]; i romani non pensano ad altro che a un vile riposo, chiamo soldati stranieri a servirli, e questi si battono tra loro per ragioni etniche o perché vogliono fare imperatori i loro generali: il senso tradizionale del coraggio è dunque falsato. I germani vivono da uomini leali e liberi, e lo provano in particolare col loro disprezzo delle ricchezze: a Roma il gusto del lusso favorisce l’ipocrisia e la leggerezza18.
Tuttavia, un altro storico francese, Pierre Grimal, allinea le virtù descritte da Tacito su un’asse conforme alla tradizione di Roma, specialmente a quella stagione in cui regnava, incontrastata in tutto il Popolus Romanus, la libertas:
il quadro da lui tracciato della societa dei Germani, dove la morale è cosi austera, contribuirà a richiamare in vita il vecchio ideale, che i Romani non hanno ancora dimenticato del tutto e che faceva un tempo la loro grandezza. La Germania, qui, somiglia molto a una suasoria: presenta le virtù umane più nobili – quelle che i Romani praticano sempre di meno – come naturali a quei popoli, e invita i padroni del mondo a rimetterle in onore. Infatti, nonostante tutte le differenze tra i Germani e i Romani, che Tacito non disconosce affatto, sussiste una profonda analogia che li unisce. Entrambi i popoli ammirano le medesime virtù, anche se non le praticano nella stessa misura19.
Infine, è opportuno analizzare il «metro etnocentrico» con cui Tacito misura «la mancanza di cultura» dei Germani, che egli mette a confronto con la cultura romana20. Dopo la polemica e breve digressione su quelli che «trans Rhenum Danuviumque consederint, eos qui Decumates agros exercent»21, Tacito comincia a descrivere tutte quelle gentes barbariche reputate – dalle fonti a sua disposizione – autoctone «locis, ut ceterae civitates, in quas Germania patescit»22.
L’aspetto che qui ci interessa della rappresentazione del mondo barbaro in Tacito è la giustificazione teorica che lo storico ha inteso dare all’alterità dei paesi dell’Europa settentrionale rispetto alla civiltà mediterranea. Il richiamo alla vecchia teoria climatica, che divide nettamente l’ecumene in due orbes tra loro non comunicanti, sembra dare una ragione all’esperienza romana di popoli totalmente estranei al proprio mondo, anche se lo svolgimento storico dei rapporti con i barbari fu molto più duttile e articolato di qualunque schema23.
Di fatto, la «continua relazione, che Tacito istituisce, fra il centro dell’impero e le zone ai margini della civiltà»24, deperisce a mano a mano che la sua narrazione etnografica procede, fino al punto in cui racconta, nell’ultimo capitolo dell’opera, di remote gentes viventi nei «territori della Suebia»: le «tribù dei Peucini, dei Veneti, dei Fenni»25. Costoro sono talmente isolati in terre inesplorate, e così estranei da qualsiasi barlume di humanitas, che «securi adversus nomine, securi ad versus deos rem difficillimam assecuti sunt, ut illis ne voto quidem opus esset»26.
Conclusione
In questa breve riflessione sul De origine et situ Germanorum liber emerge che l’«etnografia in Tacito è, dunque, finalizzata ad un impegno di comprensione storica»27. Per questo motivo, la libertas «dei tempi antichi, che sopravviveva nei miti dei poeti – Properzio per esempio – tende ad attenuare il contrasto tra Roma e i Germani:
questi ultimi sono ancora ai primi stadi dell’evoluzione sociale e intellettuale; e poiché i Romani, e Tacito in modo particolare, si ostinano a porre l’età dell’oro nel passato, non possono non sentire per la «libertà» dei Germani, per la loro povertà in gran parte volontaria, una simpatia talvolta ammirata, talvolta indulgente, non dissimile da quella che tributano alle grandi figure del proprio passato28.
La Germanorum libertas rimane, quindi, un paradosso per il senatore e rerum scriptor Tacito; ma soprattutto si rivela una spina nel fianco per la nobilitas romana di età imperiale.
In verità, entrambi furono consapevoli che l’unica virtù a cui non avrebbero mai potuto avere pienamente accesso sarebbe stata la libertas, così abbondante, invece, presso quei rozzi popoli germanici, esistenti oltre il limes dell’impero, in quella parte dell’orbes che i Romani non riuscirono mai a conquistare29.
Note
1 Germ., 37,3. «[…] la libertà dei Germani è più resistente del dispotismo degli Arsacidi» (Tacito, Germania, a cura di E. Risari, Milano, Mondadori, 1991, pp. 48-49)
2 Cfr. M. A. Giua, Contesti ambientali e azione umana nella storiografia di Tacito, Como, Edizioni New Press, 1988, pp. 60-61
3 Per un approfondimento sull’opera e sulla vita dell’autore, v. Bibliografia (p. 6)
4 Cfr. A. Giordano Rampioni, F. Piazzi, M. A. Sabatino Tumscitz, Novos decerpere flores. Generi, autori e testi della letteratura latina, Bologna, Cappelli Editore, 2001, vol. 7, p. 239
5 R. Syme, Tacito, Brescia, Paideia, 1967, p. 26
6 Ivi, p. 27
7 Ibidem
8 Ivi, pp. 33-34. P. Grimal precisa: «Solo quando ebbe terminato queste ispezioni e fu certo che le forze stanziate lungo quelle frontiere difficili sarebbero rimaste fedeli, Traiano ritorno in Italia e fece il suo ingresso nell’Urbe, forse nella primavera del 99» (Tacito, Milano, Garzanti, 1991, p. 125)
9 Cfr. R. Syme, op. cit., p. 737. «Libertas, la più preziosa virtù dei nobili» (Ivi, p. 46)
10 I novi homines: coloro che, per primi in una gens, esercitarono una o più magistrature del cursus honorum
11 R. Syme, op. cit., p. 764
12 Ivi, p. 170. «I Romani lodano a gran voce i barbari del Nord. Per il loro valore e l’amore della libertà; e alcuni perché, con l’immaginazione, si rendevano conto di quanto quei nativi fossero simili ai loro rudi ed eroici antenati» (Ivi, p. 700)
13 Germ., 5, 2-3. «Riguardo al possesso e all’uso di ricchezze non si comportano come noi ci potremmo aspettare. È possibile vedere come vasi d’argento offerti in dono a capi e ambasciatori presso di loro siano considerati alla stregua di quelli d’argilla» (Tacito, op. cit., p. 9)
14 Germ., 11, 1. «Dall’assoluta libertà trae origine un loro vizio caratteristico: dato che non si riuniscono in seguito a un ordine di convocazione, si trovano a perdere anche due o tre giorni a causa del ritardo dei partecipanti» (Ivi, p. 17)
15 Germ., 25, 1. «Del resto, non si servono degli schiavi come facciamo noi, attribuendo compiti specifici a ogni gruppo» (Ivi, p. 33)
16 Per un approfondimento sulla schiavitù, v.: A. Carandini, Schiavi in Italia: gli strumenti pensanti dei romani fra tarda repubblica e medio impero, Roma, Carocci, 1988; E. M. Staerman, M. K. Trofimova, La schiavitù nell’Italia imperiale: I-III secolo, Roma, Editori Riuniti, 1982
17 Germ., 25, 2. «I liberti non godono di una condizione di molto superiore a quella dei servi; di rado esercitano un certo influsso nelle cose private, mai nello Stato, tranne soltanto presso le tribù rette a monarchia. Tre queste genti, infatti, i liberti raggiungono posizioni superiori non solo ai cittadini comuni, ma addirittura ai nobili; presso le altre popolazioni l’inferiorità dei liberti è considerata una dimostrazione di libertà» (Tacito, op. cit., p. 35)
18 A. Michel, Tacito e il destino dell’Impero, Torino, Einaudi, 1973, pp. 118-119
19 P. Grimal, op. cit., p. 136
20 Cfr. A. Giordano Rampioni, F. Piazzi, M. A. Sabatino Tumscitz, op. cit., pp. 252-253
21 Germ., 29, 3. «[…] sebbene risiedano tra Reno e Danubio, quelle che abitano gli “agri decumates”» (Tacito, op. cit., p. 39)
22 Germ., 30, 1. «[…] in luoghi […] come le altre regioni nelle quali si estende la Germania» (Ivi, p. 41)
23 M. A. Giua, op. cit., p. 49
24 Ivi, p. 70
25 Cfr. Tacito, op. cit., p. 61
26 Germ., 46, 3. «Senza alcun timore nei confronti degli uomini e degli dèi, hanno ottenuto una tra le cose più difficili: non hanno bisogno neppure di formulare un desiderio» (Ibidem)
27 M. A. Giua, op. cit., pp. 72
28 P. Grimal, op. cit., p. 138
29 M. A. Giua spiega: «i paesi non ancora penetrati dalla dominazione romana costituiscono un orbis diverso, ai confini del mondo, dove natura e uomini hanno un legame profondo; la civiltà, quella che si chiamava humanitas, non può che alterare questo equilibrio, stravolgendo i connotati naturali dei popoli barbari. La bellicosità, nella quale si esprimono il loro carattere indomito e il loro amore per la libertà, si nutre di un tipo di vita che ha, a sua volta, i presupposti necessari in determinate condizioni naturali e climatiche» (op. cit., p. 64)
Bibliografia
– Giordano Rampioni Anna, Piazzi Francesco, Sabatino Tumscitz Maria Attilia, Novos decerpere flores. Generi, autori e testi della letteratura latina, Bologna, Cappelli Editore, 2001, vol. 7, pp. 233-303
– Giua Maria Antonietta, Contesti ambientali e azione umana nella storiografia di Tacito, Como, Edizioni New Press, 1988, pp. 37-73
– Grimal Pierre, Tacito, Milano, Garzanti, 1991
– Michel Alain, Tacito e il destino dell’Impero, Torino, Einaudi, 1973
– Syme Ronald, Tacito, Paideia, Brescia, 1971
– Tacito, Germania, a cura di Elisabetta Risari, Milano, Mondadori, 1991
Fonti
– Tesi in Storiografia Romana di Roberto Piffanelli, coordinata dal Prof. Antonio Baldini.
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