Gli amanti senza volto: un’indagine su René Magritte
Les amants o Gli amanti I & II di René Magritte, sono due oli su tela dipinti a Parigi e datati 1928. Due versioni aventi pressoché le stesse dimensioni; oggi quella che indicheremo come prima (54,0x73,0 centimetri) è esposta all’Australian National Gallery, mentre la seconda (54,0x73,4 centimetri) al MoMA di New York, dono di Richard S. Zeisler.
In entrambe le opere il bianco del lenzuolo, tono che dà luce per eccellenza, introduce lo sguardo dello spettatore alla scena: il drappo avvolge i volti allo stesso modo in cui ci si copre poco prima di prendere sonno; un chiaro riferimento onirico rafforzato nella seconda versione dal contrasto di tonalità di blu tanto distanti sul fondo, “metafisico”, e dalla cornice classicheggiante che riveste la rossa parete, riportando agli occhi tempi antichi. Anche i chiaroscuri con cui l’artista ha reso il lenzuolo, paiono i virtuosismi del peplo di una scultura ellenistica, sintesi della durezza del marmo.
La prima, invece, sullo sfondo ha un paesaggio, la vista di colline e mare, che ricorda un “locus amoenus”: i soggetti guancia a guancia, quasi si tratti di una foto ricordo, di quelle che si appendono al muro dopo una vacanza; quindi la riproduzione di una situazione ideale – e non reale – per due amanti in una posa formale. Questa richiama Ettore e Andromaca di Giorgio De Chirico, olio su tela del 1917, in cui l’artista ferrarese ritrae i due manichini in uno spazio surreale, coi volti bianchi uno accanto all’altro.
È risaputo che la svolta surrealista dell’artista belga avvenne con la scoperta dell’opera di De Chirico, in particolare con la visione del quadro Canto d’amore (1914), nel quale compare sul lato di un edificio la testa enorme di una statua greca ed un gigantesco guanto in lattice, esperienza che lo colpì profondamente da descriverla in un suo scritto così: «che rappresentava un taglio netto con le abitudini mentali di artisti prigionieri del talento, dei virtuosi e di tutti i piccoli estetismi consolidati: un nuovo modo di vedere».
Un altro significato riconducibile al lenzuolo e alla sua funzione di coprire alla vista, è l’idea di morte che i quadri trasmettono: il lenzuolo come un sudario, primo tra tutti quello che fasciò il corpo di Cristo; oppure, più semplicemente il gesto di coprire un cadavere e in modo particolare il viso del defunto. D’altronde il suicidio della madre del pittore nel 1912 – appena quattordicenne – sicuramente ne segnò indelebilmente l’esistenza; tant’è vero che la donna fu ritrovata sulle rive del fiume Sambre con la testa avvolta nella camicia da notte. Non a caso, la figura femminile che domina il dipinto La storia centrale (1928), è riprodotta nell’atto di tenersi la gola con la mano destra, quasi a volersi soffocare.
Il 1928, oltre ad essere indicato come l’anno di realizzazione di ben cinque quadri a volto coperto – Gli amanti I & II, La storia centrale, L’invenzione della vita e L’inganno simmetrico – è quello della morte del padre di Magritte; quindi un tema ricorrente nella sua produzione, come fu il rapporto/conflitto tra Eros e Thanatos nel corso dell’intero Surrealismo. Il bacio della morte? Un bacio tra due defunti, o in procinto di essere tali? Un destino ineluttabile, o semplicemente un ricordo, che denota la fine di qualcosa che è stato vissuto? Le interpretazioni sono e saranno molteplici e la riflessione a cui l’opera deve condurre l’osservatore è stata da sempre la volontà dell’artista; interpretazione che non deve mai giungere ad una conclusione definitiva.
Nascondendo i volti, rendendoli non visibili, il pittore vuole mostrare i molteplici significati del reale attraverso nuovi punti di vista, modi di pensare la realtà: uno sguardo sul banale che porta al suo svelamento. Un “vedere oltre” esoterico, oracolare – e non razionale – rifacendosi alla cecità di De Chirico (La nostalgia del poeta, 1914) e alla poesia veggente di Arthur Rimbaud. A conferma le sue parole: «C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente».
La figura maschile, invece, è emblematica: giacca scura, camicia bianca e cravatta – semplice e ordinata, che alla vista non resta impressa – un soggetto qualunque. Magritte rappresenta di continuo individui anonimi, associabili ad una certa idea figurativa di “borghesia”, con il volto coperto, o addirittura senza volto, senza un’identità che li caratterizzi. Egli stesso appare in alcune foto così abbigliato, a volte insieme alla moglie Georgette: che siano loro ed il loro legame i protagonisti delle due tele?
Ad ogni modo, soggetti banali, gente, inseriti in situazioni improbabili per creare un paradosso della visione, è un altro nodo centrale del pensiero Surrealista. Tanto che il celebre Conte di Lautréamont, pseudonimo del poeta francese Isidore Lucien Ducasse, scriveva nei Canti di Maldoror di un’impensabile «incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello!». Lo stesso De Chirico sosteneva che le cose banali, se viste sotto un’altra angolatura, potessero diventare la vera forma dell’enigma. Procedendo logicamente, nei due oli presi in esame, in cosa consiste il paradosso? Benché siano stati intitolati Amanti, in entrambi il drappo impedisce alle figure la vista e il contatto dell’altro, nega il fulcro dell’immagine, il compimento ideale della situazione, lasciando spazio a dei condizionali. Nel primo, infatti, i volti dovrebbero appoggiarsi l’uno all’altro e nel secondo dovrebbero baciarsi. Privati dei sensi della vista e del tatto, dell’esperienza sensibile, agli amanti è vietato di conoscersi. A questo punto, le riflessioni a cui si è portati sono due, una positiva ed una negativa, una chiara ed una scura, come nell’Impero delle luci (1953-54), nel cui contrasto di toni coesistono allo stesso tempo un incubo e un sogno.
Il lenzuolo potrebbe essere inteso quale accecamento amoroso che spinge i due a vedersi al di là della fisicità, dell’aspetto esteriore, favorendo una conoscenza interiore: un amore cieco. Però, se Magritte avesse voluto fare riferimento unicamente all’emisfero visivo, avrebbe coperto loro solo gli occhi, invece ne ha ricalcato i volti, sino a stringerne le gole: un amore soffocante, che toglie il fiato. Riaffiora allora il concetto di cappio, di limite: l’amore stesso prigioniero dell’ego, primo tra i limiti dell’uomo e contemporaneamente una protezione per l’individualità del singolo, quasi siano protetti all’interno di una bolla di ossigeno. D’altronde restano solo due corpi, che pur scambiandosi un gesto intimo quanto un bacio, non si conoscono. Il lenzuolo li cela dal coinvolgersi, non “ci mettono la faccia”. Oppure un amore prigioniero della morte, ultimo ostacolo alla vita.
Fonti
– Dott.ssa Giulia Mengardo per il reperimento delle fonti critiche
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