I sommersi e i salvati
Primo Levi (1919 – 1987) scrisse il saggio I sommersi e i salvati (1986) per tentare, dopo 40 anni, di ripercorrere le orme dello sterminio degli ebrei con un passo diverso, più conscio di cosa accadde in quelle lande naziste e di cosa ha cristallizzato sui libri la storia, la sua in primis: «si può oggi bene affermare che la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi, come io stesso, non ne ha scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto non è tornato, oppure la sua capacità di osservazione era paralizzata dalla sofferenza e dall’incomprensione».
Lui, a distanza di tempo, ha trovato il raro coraggio di mettersi in discussione e, soprattutto, di mettere in discussione una catena infinita di pagine, testi e volumi sentenziosi, pronti ad incatenare la memoria e, con essa, la verità.
La sua lezione continua a colorare, indelebile, l’analisi delle vicende odierne, forte della superiorità di chi non ha paura di compromettersi seriamente: la stessa di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Ilaria Alpi.
Una posizione comune, infatti, li rende cavalieri della stessa corona: la strenua lotta, ognuno a modo suo, per la giustizia; storica, politica, sociale, ambientale, umana, morale e pur sempre lei, la iustitia tanto sperata. A 25 anni dalla prima pubblicazione, I sommersi e i salvati torna, secondo me, a descrivere la nostra quotidianità, così duramente colpita da una crisi dai confini incerti, invisibili e paurosi: dall’economia globale a quella nazionale, dalla politica statale alla cooperazione mondiale, dalla morale individuale all’etica sociale, fino alla generalizzata indifferenza per la povertà diffusa, la sofferenza, il dramma umano che colpisce tante famiglie e numerosi singoli individui sia in Italia sia nel resto del mondo.
Nessuno escluso, tutti compresi. Esistono, quindi, ancora oggi i sommersi e i salvati, gli uni travolti irrimediabilmente da una fame di giustizia senza fondo che gli altri vedono, ignari e impotenti o responsabili e colpevoli, comparire come un fumetto sui quotidiani o sulle TV, sui PC o sugli iPad.
Due categorie diverse e sorelle, entrambe figlie di un Occidente che non riesce ancora a fare i conti con il proprio passato e a costruire un futuro definibile come tale in toto. Gianni Alioti (Il dramma nel Corno d’Africa, Nigrizia, 3 agosto 2011) afferma: «Ci sono fili sottili, ma non invisibili per chi li vuole vedere, che legano la crisi ambientale prodotta dal nord del mondo con la povertà estrema nel sud, la finanza globale con la crescita delle disuguaglianze sociali e la distruzione delle risorse naturali, il complesso militare – industriale con la crisi dei debiti sovrani, le guerre, il terrorismo e l’aumento delle spese militari con i bambini che muoiono di fame. La politica nella sua interezza, in Italia come altrove, nasconde questi fili, per ignoranza o interesse. Per l’umanità e la “madre terra” il risultato non cambia».
Ecco, allora, le cifre italiane: «l’Italia che, con un debito pubblico di oltre 2.700 miliardi di dollari, e nonostante l’integrazione europea, continua a mantenere un modello di difesa nazionale con 190 mila militari, di cui il 45% composto da ufficiali e sottoufficiali. Negli ultimi dieci anni abbiamo speso in campo militare oltre 400 miliardi di dollari e (…) partecipiamo a un programma per la realizzazione e l’acquisto di 131 cacciabombardieri F35, che c’è già costato oltre 2 miliardi e 700 milioni di dollari e che comporterà – ai prezzi attuali – un esborso di altri 26 miliardi di dollari nei prossimi anni».
Numeri confermati da statistiche nazionali ed internazionali autorevoli, per questo poco pubblicizzate. «A queste spese dobbiamo sommare il finanziamento delle missioni militari all’estero (…): un altro miliardo di euro l’anno fino al 2008, cresciuti a 1,5 miliardi di euro l’anno dal 2009 al 2011». Sono solo numeri su carta da riciclo o tremende verità a cui non sappiamo dare un senso?
Chi sono, quindi, i sommersi e i salvati? Primo Levi conclude con questa affermazione la sua Prefazione: «fino al momento in cui scrivo (…), il sistema concentrazionario nazista rimane tuttavia un unicum, sia come mole sia come qualità». Afganistan, Iraq, Corno d’Africa, Sudan, Sud Sudan e Darfur, Palestina, Libano, Siria, Egitto, Libia, Tunisia, Italia, Mar Mediterraneo e altri luoghi ancora, però, si avvicinano drammaticamente al «sistema concentrazionario» descritto da Primo Levi.
In ognuno di questi luoghi, poi, vivono i sommersi: famiglie e giovani, ma anche anziani e portatori di handicap; e i salvati: banche, gruppi assicurativi e finanziari, multinazionali di ogni ordine e grado. Infine, consentitemi una riflessione: essere sommersi non significa essere dannati, ma salvati dalla propria coscienza.
Liberi di indignarsi, di lottare e di sperare.
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