Il “regno meraviglioso” del Prete Gianni

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Affresco tratto da una Chiesa Nestoriana in Cina

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Il “regno meraviglioso” del Prete Gianni

Durante il medioevo si favoleggiava molto su chi e che cosa ci fosse “al di là della Terra Santa”, e tra i tanti racconti di viaggio, ad un certo punto divenne nota una leggenda, che narrava di un “regno meraviglioso”, quello del Presbyter Johannes, che si supponeva situato in un punto imprecisato… tra la Babilonia e le Indie.

Questo regno favoloso affascinò ed ossessionò studiosi, scienziati, letterati, filosofi e regnanti per almeno quattro secoli. Il regno di Prete Gianni costituiva, in sé, una sorta di nuovo Eden.

Esso venne descritto per la prima volta – letterariamente – in un romanzo del XIV secolo intitolato The voiage and travayle of Sir John Maundeville knight, which treateth of the way toward Hierusalem and of marvayles of Inde with other islands and countrey (1887). Tuttavia la leggenda era già diffusa fin dal 1165.

Affresco tratto da una Chiesa Nestoriana in CinaIn quell’anno un misterioso personaggio che si firmava, appunto, Prete Gianni fece pervenire all’imperatore bizantino Emanuele Comneno una lettera nella quale gli offriva i propri servigi. Lo scritto lasciava narrava esplicitamente di un “…regno cristiano al di là del mare…” Le copie effettivamente esistenti della lettera non sono state in grado di dipanare il mistero che ad esse è rimasto ineluttabilmente agganciato.

Si è parlato di un mito le cui origini sarebbero state da attribuirsi ad un vescovo nestoriano (libanese) che, nel 1145, aveva capeggiato un gruppo di cristiani passati al manicheismo e confluiti nelle orde del conquistatore mongolo Ye-lu Ta-shih; mi sto riferendo al vescovo Ugo di Gebal, ma neppure Marco Polo riuscì ad essere più preciso.

È evidente che per comprendere il fenomeno Prete Gianni occorre inquadrarlo nella cultura del suo tempo.

La cultura del suo tempo

La storia del medioevo è ricchissima di leggende, di personaggi favolosi e di situazione ai limiti del credibile1. Probabilmente la storia di Prete Gianni risponde in pieno alla voglia di portentoso che inevitabilmente faceva da presupposto e cornice2.

Ma forse, al di là delle pseudo-motivazioni recondite, la storia del potente monarca era qualcosa in più di una favola: indipendentemente dalla natura della storia e dalle sue origini, Prete Gianni fu certamente uno dei più famosi personaggi e, insieme a San Brendano, uno di quelli rimasti più di altri a metà strada tra storia e leggenda.

Era l’epoca nella quale l’Africa – già al di là di una strettissima fascia costiera mediterranea – era contrassegnata dalla scritta “hic sunt leones”. Inutile parlare di cosa potesse esservi al di là dei leoni.

La leggenda popolare, oppressa dalle incursioni dei Saraceni, muniva le coste con torri di avvistamento. Ai fuochi di bivacco, gli armati preferivano parlare di un regno meraviglioso, il Regno del Presbyter Johannes, appunto, individuato con pochissima o nessuna conoscenza, presumibilmente situato in una terra che sembra fatta apposta per giustificare il sorgere di leggende: dai Re Magi, alla fontana della Giovinezza, alle miniere di Re Salomone… c’era solo l’imbarazzo della scelta.

Nonostante l’incertezza sulle coordinate geografiche, si parlava di un regno favoloso, fascinoso… ma improbabile quanto quello di un vero e proprio paradiso terrestre3.

Un Re immaginario

Proviamo a ricostruire il quadro storico della prima metà del XII secolo.

Ad oriente l’Europa era sotto la minaccia diretta dell’Islam trionfante e Vienna era a rischio di assedio (e sarebbe stata assediata entro breve tempo). Ad occidente, gran parte della Spagna era sotto il diretto dominio del Califfato di Cordoba. In poche parole l’orizzonte cristiano mai apparve più fosco. Dai tempi di Carlo Martello si attendeva il tracollo o un miracolo.

Poi, improvvisamente, nel 1145, si verificò qualcosa che aveva proprio l’aspetto del miracolo e si riaccese la speranza di una riscossa: alla corte pontificia romana, il vescovo di Biblo4, portò dal Libano una lettera nella quale un certo Giovanni Presbitero tracciava un “… regno cristiano al di là del mare…”.

Ed eccoci al primo mistero: il latore del messaggio è stato individuato – lo si è detto – in un certo Ugo di Gebal (vescovo nestoriano del Libano islamico). I nestoriani erano cristiani fuorusciti sospetti di apostasia, sconfessati dal Concilio di Efeso del 431 e probabilmente manichei, che proprio in quegli anni (1145 ca.) si erano accodati ad un capobanda mongolo che all’epoca riscuoteva molto successo, di nome Ye-lu Ta-shih.

L’autore della lettera si autoproclamava “prete re” e discendente di uno dei tre Re Magi. La missiva parlava di un certo Giovanni (o Gianni) che aveva di recente sconfitto i musulmani di Persia. Questo Gianni o Giovanni manifestava l’intenzione di ricongiungersi ai cristiani ormai assediati in Gerusalemme dalle truppe del Saladino.

Tomba di Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbi (Saladino) a Damasco, in Siria (XII sec.)Di fatto, l’islamico stava vivendo una fase di appannamento politico e, forse, niente sarebbe stato più opportuno di una controffensiva massiccia per minarne definitivamente l’alone di onnipotenza che lo aveva coronato dopo la crociata di Riccardo Cuor di Leone.

Alla lettera del 1145 però non seguì più alcuna iniziativa, né da parte del fantomatico Gianni, né da parte di altri, così il Saladino concluse la sua “riconquista” nell’indifferenza, o nell’impotenza dei re cristiani. Perché non si ne fece più niente? L’iniziativa di Gianni era forse stata un episodio di guerra psicologica degli islamici destinato a seminare lo scoramento fra i crociati? E perché poi?

I musulmani erano già in vantaggio e da una mossa del genere unico a poterne trarre svantaggio era solo il Saladino che ne veniva frenato.

Ovvero c’era stato un ripensamento da parte di questo enigmatico Prete Re? Erano forse mutate in maniera sostanziale le condizioni nelle quali era maturata l’offerta? O piuttosto si era trattato di una montatura propagandistica portata avanti da un cristianesimo con l’acqua alla gola?

Sono tutte domande lecite che, purtroppo, non potranno avere una risposta certa. Sotto il profilo della critica storica postuma possiamo unicamente constatare che nella lettera l’occidente cristiano desiderò, o piuttosto, volle vedere la profferta di un potenziale alleato che probabilmente non esisteva.

È stato possibile, in altri termini, verificare che, nel corso dei quattro secoli nei quali si è sviluppata e cresciuta la “storia” di Prete Gianni, si sono rincorsi due atteggiamenti:

  • lo scetticismo sia sulla lettera5 che sul personaggio6;
  • la commistione con il Paradiso terrestre non giocò affatto a favore del Presbitero.

Sta di fatto che il Regno misterioso perse ogni possibile contatto con il verosimile ed iniziò a spostarsi inseguendo una frontiera che le scoperte geografiche spostano prima ad est per relegarlo alla fine in Africa tra i leoni di un mondo inesistente. E fu la fine per Prete Gianni prima ancora che qualcuno potesse pensare a qualcosa di più serio.

C’è da dire che la posizione fideistica acquistò credito quando, nel 1221, il vescovo di Acri7 comunicò al Pontefice che “… un indiano chiamato David… [forse lo stesso Gengis Khan?] veniva considerato un pronipote di Prete Gianni”. Ebbene, sembra del tutto lecito chiedersi quale fosse la natura del contenuto della lettera: aveva lo scopo di alimentare una leggenda, come era nata? Era un parto della fantasia come sostennero taluni (forse i soliti maldicenti)? O c’erano elementi di verità?

La storia che ci accingiamo a narrare segue, probabilmente, un percorso fantastico; ma non si può affermare che contenga alcuni elementi storicamente inconfutabili. Ad esempio:

  • i musulmani, in Persia, erano effettivamente stati sconfitti in battaglia proprio prima che le notizie sul Prete Gianni si diffondessero in Europa; la battaglia ebbe luogo nel 1141 nei pressi di Samarcanda ed i mongoli di un certo Gur-Khan sopraffecero i Musulmani;
  • c’erano gruppi più o meno numerosi di cristiani sia in Asia centrale che in India;
  • esisteva effettivamente un impero cristiano in Africa, nella regione etiopica.

Elementi storici

Se teniamo conto degli elementi storici è chiaro che facciamo riferimento alla battaglia di Samarcanda; sembra, allora, del tutto naturale ritenere che la leggenda sia stata effettivamente creata dagli Arabi che avrebbero letto Giovanni o Gianni nel nome di Gur-Khan.

Ma Gur-Khan non era l’unico candidato che avanzasse pretese quanto alla identificazione con la persona di Prete Gianni. Ad esempio questi potrebbe essere identificato in uno qualsiasi degli imperatori di Etiopia del XII secolo: erano tutti cristiani (copti) e tutti mantenevano contatti più o meno regolari con Roma8.

Ci rendiamo quindi conto che il più grosso problema da risolvere in questa vicenda riguarda sia l’identità del protagonista che una ubicazione esatta del regno di questo famoso Prete Gianni. Nell’ultima fase delle ricerche che, direttamente o indirettamente, si ricollegano al Prete Gianni, una grossa parte è rimasta assorbita da una domanda solo apparentemente oziosa: perché Gianni?

Come vedremo più avanti, nella storia critica del Capo politico-religioso, sono state cercate, e spesso trovate, molte corrispondenze ed altrettante alternative. Ma perché cercare corrispondenze e alternative quando siamo in presenza di un nume specifico? È la tesi sostenuta da Ruggero Marino purtroppo solo in margine ad un’altra ricerca molto più corposa9.

Accennando alle speranze suscitate in occidente dalla Lettera di Prete Gianni, il Marino osserva: “Significativo il particolare che il nome Presbyter Johannes, si ricollega ad una persistente tradizione apocrifa secondo la quale l’apostolo Giovanni non morì, ma fu scelto da Cristo per vagare nel mondo senza mai morire [una specie di Aasvero ossia, l’Ebreo Errante, l’immortale] … in attesa del ritorno del Salvatore.”

La ricorrenza dei nomi generava una valenza simbolica e magica che si aggiungeva al misticismo per tentare l’estrema unione di Oriente ed Occidente… nella Tartaria e nella Mongolia. Non era forse in estremo oriente, che si erano perse le tracce delle Tribù perdute di Israele?

Il Regno di Prete Gianni

Possiamo dire in tutta tranquillità che il Regno di Prete Gianni è stato cercato, allo stesso tempo, dovunque e in nessun luogo.

Quando si incominciò la ricerca del fantomatico regno, anche se nessuno ne era cosciente si stava dando inizio alla caccia ad un El Dorado di cui nessuno aveva nozione alcuna. Di coloro che direttamente o indirettamente partirono per la “caccia” fece parte anche il famoso viaggiatore veneziano Marco Polo (che non fu certamente ultimo in ordine cronologico) senza che la cosa finisse lì, tant’è che nel XV secolo ancora si coltivava, in maniera quasi ossessiva e fideistica, la speranza di stabilire un contatto con il potente (presunto) alleato cristiano in funzione anti-musulmana.

Ad eccitare le fantasia contribuirono, nel decennio tra il 1490 ed il 1500, i resoconti di viaggiatori (tra gli altri Vasco da Gama) dove spesso la fantasia superava il resoconto scientifico10.

Solo nel XVI secolo, quando i musulmani furono pesantemente sconfitti a Vienna ed a Lepanto, e la minaccia islamica si cominciò ad allontanare dall’Europa, l’interesse per il Prete Gianni e per il suo introvabile regno cominciò a scemare.

Di fatto il regno mitico di Prete Gianni non è mai stato trovato. Sussistono tuttavia fondate ragioni per credere che non si trattasse di pura fantasia. Cerchiamo di capire quali siano queste ragioni.

Gengis KhanIl Regno di Prete Gianni in Oriente

Il regno di Prete Gianni è stato cercato, di volta in volta, ma sempre senza successo, in Asia, in Africa e perfino in America.

Peraltro la storia di un principe cristiano denominato Zanni, Giovanni o Gianni (al centro dell’Asia) si collega in maniera altrettanto misteriosa alla leggenda dei Re Magi ed al biblico regno di Gog (con capitale Magog). Questi collegamenti vennero resi noti in Europa, nell’anno di Grazia 1145, dal Vescovo di Gabala il quale ipotizzò che questo Prete fosse un discendente dei Tre Re.

Il predetto Vescovo, tanto per incominciare, non fornisce tuttavia molte spiegazioni quanto al nome che sembra oscillare tra un “Presto Giovanni“, un “Zane” ed altre denominazioni similari, ma ci dice che si trattava di un potente e ricchissimo cristiano, desideroso di instaurare un rapporto meno precario con l’Occidente cristiano.

Purtroppo nulla ci rivela circa l’origine della leggenda e, in genere, si ritiene che Prete Gianni altro non fosse se non un’eco di ritorno della predicazione nestoriana in Asia centrale. L’unica notizia di un certo pregio storico ci viene, ancora una volta da Marco Polo. Le ipotesi sul chi fosse e dove avesse il suo domino il cosiddetto Prete Gianni, si sprecano.

Secondo Marco Polo i Mongoli, prima dell’assunzione del potere da parte di Gengis Khan, sarebbero stati originariamente tributari di Prete Gianni11. Questo rapporto con i Mongoli sarebbe continuato anche successivamente a parti invertite: Marco Polo – e Giovanni da Montecorno – riferiscono che un discendente di Prete Gianni, di nome Giorgio, nel 1232 ancora regnasse e fosse un vassallo per quanto imparentato con un khan mongolo.

Il Milione è molto meno categorico: non convalida né smentisce nessuna ipotesi.

Il Regno di Prete Gianni in Africa

Un altro religioso, sposta il punto di riferimento all’Africa associandolo all’altrettanto mitico (in questo caso biblico) regno di Gog, la cui capitale sarebbe stata Magog, ossia ai mitici regni di Gog e Magog12.

Dei regni di Gog ad ovest e Magog a sud di Tenduk parla anche Marco Polo che, però, li riporta in Asia e li considera ancora sottomessi a Prete Gianni.

In realtà i due regni fanno parte della geografia Apocalittica e Biblica, per quanto Marco Polo dica si tratti di siti ben noti agli indigeni con i nomi di Ung e Mongul (in realtà tribù turche).

Su una mappa leggiamo: “Il paese verso mezzanotte è dominato dall’Imperatore Mangu (Mongul), il khan della Tartaria, che è un uomo facoltoso del grande Imperatore, il Padre Gianni di India. La moglie del grande Re è anch’ella cristiana.”

A complicare le cose va detto che è esistito anche un Mangu-khan che ha regnato tra il 1251 ed il 1259 imparentato con Kubilai. Nel Sinus magnus di Tolomeo leggiamo: “Questo mare, terra e città tutte appartengono al grande Imperatore Prete Gianni di India13“, mentre nell’emisfero meridionale, sotto l’isola di Seilan (Ceilon), c’è la seguente iscrizione: “Tutta questa terra, mare ed isole, paesi e re sono stati dati dai Tre Re Magi all’Imperatore Prete Gianni, e nel passato erano tutti cristiani, ma attualmente non più di settantadue cristiani sono conosciuti essere fra essi.”

Secondo John Maundeville (in The voiage and travayle of sir John Maundeville), le contrade di cui si occupa il Sinus Magnus sarebbero popoli tributari di Prete Gianni. Lo attesta, in una lettera, forse apocrifa, spedita da Manuel Commenus (1143-80), al Papa ed ad altri.

Secondo Guy Annequin, Gianni equivarrebbe alla latinizzazione del titolo regale etiopico Zan e potrebbe essere confermato dalla circostanza che l’Etiopia era cristiana già a partire dal IV secolo14.

L'impero del Prete Gianni in una carta (ucronica) del Rinascimento

Nella leggenda: Prete Gianni e Quasidio

Con il passare del tempo la leggenda attribuì a Prete Gianni tutta una serie di portenti. Si narrava che egli possedesse uno specchio che gli consentiva di distinguere i buoni dai malvagi e si diceva che nel territorio del suo regno si trovasse la fontana della giovinezza, che gli avrebbe consentito di vivere fino all’età di 562 anni. Questi fatti miracolosi finirono con lo spostare i centri di interesse della ricerca del fantomatico personaggio.

Si cominciò a parlare di una storia incredibile nascosta dietro un nome dal sapore profetico: Quasidio. Questo personaggio di pura fantasia finì col surrogarsi allo stesso Prete Gianni, nel senso che il regno dell’improbabile Quasidio si ritrovò all’origine del Regno di Prete Gianni (per il ben noto principio di sostituzione).

Il nome in sé la dice lunga: eppure ne parla anche la famosa lettera diretta al Papa che storicamente dette la stura alla vicenda di Prete Gianni. Quasidio si pavoneggia facendo bella mostra di sé, della propria potenza e – perché no – della propria modestia e virtù (un esempio perfetto di propaganda politica visto tra storia e leggenda).

In molti scritti medioevali si parla di questo misterioso regno cristiano che si sarebbe trovato in una lontana regione dell’Oriente, al di là dei territori dominati dall’Islam non ancora raggiunti dall’espansionismo musulmano del dopo-Maometto.

Come abbiamo visto, appare fondato il dubbio che non si trattasse solo di racconti mitici indipendentemente dal fatto che i racconti siano caratterizzati da un linguaggio dal sapore mitico. Ne parlano infatti le cronache di antichi viaggiatori, che avevano attraversato le terre d’Oriente fino agli estremi “confini del mondo”, e ciò fa pensare che la tesi dell’esistenza di un Regno di Prete Gianni avesse un qualche fondamento di realtà storica.

Considerate le cose sotto questo angolo visuale, dobbiamo cambiare la domanda che ci eravamo posti all’inizio perché, non potendo arrivare ad una conclusione logica, dobbiamo invertire il modo di ragionare e chiederci cosa sia stato a gettare il discredito su questa fascinosa leggenda medievale.

A cominciare dal rapporto tra Prete Gianni ed i Re Magi.

Prete Gianni ed i Re Magi

Non è improbabile che, nella Historia trium RegumGiovanni da Hildesheim avesse attinto ad incontrollabili fonti apocrife di origine manichea. Qui Giovanni afferma che i tre Magi “assegnarono [il titolo di] Patriarca Tommaso e di Prete Gianni a tutti i re, principi, vescovi, preti e popoli, come loro signori e reggitori nello spirituale e nel temporale.” Questa constatazione mi spinge a trarre alcune conclusioni:

  • se è esatto che la tradizione sopra riportata veda nei Magi dei sacerdoti della religione zoroastriana, se cioè vi sia identità tra Magi e coloro che sostengono la realtà di Prete Gianni, è chiaro come quest’ultimo appartenga ad un filone narrativo manicheo;
  • Prete Gianni, come il Patriarca Tommaso, non fu una persona fisicamente precisata, ma piuttosto una figura istituzionale della religione Manichea deputata a curare le relazioni politiche con le istituzioni proprie delle nazioni in cui quella Chiesa operava;
  • appare decisivo, come sottolinea Massimo Centini15, un indizio derivato proprio dalle fonti medioevali che ci parlano delle “armate dei mongoli scambiate dagli occidentali per le milizie del Prete Gianni, inviate contro gli europei per punirli dei loro peccati”.

Se sono corrette le sopra riportate considerazioni possiamo ben dire di avere elementi sufficienti per svelare i misteri del regno di Prete Gianni come figura istituzionale della religiosità manichea; appare altresì naturale considerare il suo Regno come un Paese di cultura e razza mongola.

Prete Gianni e Marco Polo

Praticamente sotto l’aspetto storico, di fatto qualcosa si era verificato in un lontano regno Manicheo sviluppatosi nelle regioni occidentali della Mongolia Interna.

Nell’anno 762 d.C. era stato fondato il Regno dell’Orkhom. Questo regno era passato al manicheismo l’anno successivo, quando il re (“qaghan”) aveva assunto anche la guida del movimento manicheo. Egli sarebbe divenuto la figura istituzionale manichea di “Prete Gianni” e l’avrebbe trasmessa a propri successori ed eredi.

'Il Milione' di Marco Polo

Non mi è stato facile trovare una conferma nella storia interna di Orkhon16. Quello che ho potuto sapere è che il Regno di Orkhon ebbe vita come ci narra Il Milione di Marco Polo. Ove si eccettuino le scarse notizie delle quali siamo debitori a Marco Polo, l’unica notizia storica, abbastanza indiretta, sulla vicenda di Prete Gianni, mi è derivata da Gustav Edmund von Grunebaum17 che racchiude l’avvenimento tra il 1140 (anno in cui Orkhom sconfisse i Turchi Selgiuchidi) ed il 1165 (anno nel quale sarebbe stata scritta la famosa lettera). Ma nel 1165 il Regno di Orkhom era in piena crisi istituzionale e politico-militare18.

Allora, se in quell’anno il regno aveva iniziato la parabola discendente, che senso dovremmo riconoscere alla missiva di Prete Gianni? Nell’ipotesi che ho prospettato, il misterioso Gianni (o Giovanni) sarebbe stato uno dei successori Uiguri di “Prete Gianni“, al potere proprio intorno al 1165. Spinto dalle difficoltà interne del Principato avrebbe cercato di stabilire contatti con le figure istituzionali più importanti dell’occidente cristiano (vale a dire l’Imperatore Romano d’Oriente, il capo del Sacro romano impero ed il Papa19) in cerca di aiuti militari. In tal modo, per la legge di confusione, si sarebbe formata la leggenda.

Questo significa ancora che testi, finora considerati falsi storici – come la lettera di cui ho parlato fin dall’inizio – siano nella realtà documenti autentici anche se, probabilmente, non veritieri. E non è un caso che autentica la ritennero Federico Barbarossa ed Alessandro III Comneno. In particolare, Papa Alessandro, rispose  nel 1177 alla lettera del Prete Gianni, ma la spedizione incaricata del recapito si perse nel deserto dell’Iraq durante una tempesta di sabbia.

D’altra parte era comune la credenza che al centro dell’Asia fosse esistito o esistesse ancora un lontano potentato cristiano guidato da un certo Presto Janne o Prete Gianni o Giovanni Presbitero. Questo “si dice” raggiunse l’Europa, per la prima volta, attraverso il Vescovo di Gabala, nel 1145. La voce diceva che questo Prete fosse un successore diretto o un discendente di uno dei Tre Re Magi.

Probabilmente la chiamata in causa dei Re Magi aveva il senso di conferire credibilità alla storia in sé abbastanza assurda. 

Il presunto monarca veniva presentato come potente, ricchissimo e desideroso di entrare in contatto con l’Occidente per il solo fatto di essere cristiano. L’origine della leggenda, che circolava nel XII secolo, non è nota, ma è forse un’eco della predicazione nestoriana in Asia.

Oppert ha tentato di dimostrare che questo personaggio misterioso fosse il cinese Yeliutashe, della dinastia Liao (che ha regnato nella Cina Settentrionale dal 906 al 1125). Tuttavia i passaggi successivi non sono affatto chiari come l’autore vorrebbe. In effetti le cose sarebbero andate abbastanza diversamente da come le descrive Oppert.

Tanto per incominciare lo Yaliutashe di Oppert a quanto pare non era cinese, ma di origine coreana. Espulso per non precisati motivi dalla Corea, si spostò con i seguaci più fedeli nell’Asia Centro settentrionale fondando l’Impero del Kara Khitai, tra l’Altai e all’Aral.

In questa nuova veste l’avventuriero Yaliutashe avrebbe assunto il titolo di “Korkhan”.

Si può osservare, a questo punto, che l’entrata in scena di Yaliutashe20, non è affatto chiara e non aiuta certamente la visione d’insieme della vicenda di Prete Gianni. Sta di fatto che Marco Polo aveva le idee un tantino più chiare. Ne Il Milione, egli narra che i mongoli “erano stati tributari” di Prete Gianni del quale avevano temuto la potenza. Sembra, ancora, che questo atteggiamento reverenziale fosse reciproco tant’è che Prete Gianni avrebbe tentato in più di un’occasione di rompere l’unità dei mongoli, di suddividerli in gruppi minori e, in definitiva, di deportarli almeno in parte.

Il tentativo non era riuscito e i Mongoli si erano sottratti al dominio di Prete Gianni emigrando in massa verso nord nel Kara Khitai. Al tempo del viaggiatore veneziano (ci troviamo intorno al 1200), Gengis Khan aveva chiuso definitivamente il problema “Prete Gianni” uccidendolo.

Marco Polo ci dice – e Giovanni da Monte Corvino lo conferma – che un discendente di Gianni, chiamato Giorgio, aveva anch’egli assunto il titolo di Prete Gianni, ed ancora regnava come vassallo di Kubilai Khan. Il Re Giorgio “di Tenduk”, sarebbe quindi stato un successore del nostro Prete Gianni21 e chiuderebbe il collegamento Prete Gianni – Re Magi.

Resta di tutta evidenza il fatto che il cammino per collegarli non è certo dei più limpidi. Ma era questo che intendeva Marco Polo?

Poco più di un secolo dopo i fatti narrati (più o meno alla fine del XIII secolo) Marco Polo percorreva la pianura di Kuku Khotn a nord-ovest di Pechino. Non perfettamente a conoscenza di fatti e di luoghi egli ritenne che i Tartari da lui incontrati fossero i sudditi di Prete Gianni. Identificò pertanto Prete Gianni con Ung-Khan e si soffermò abbastanza a lungo su quel personaggio22.

Per Marco Polo, in sostanza, Prete Gianni era un capo mongolo della provincia che aveva appena attraversato. In altri termini Gianni sarebbe stato un capo Uiguro come tanti altri dell’universo di Gengis Khan; e nemmeno tanto importante, tant’è che il mongolo avrebbe rifiutato di dargli la figlia in moglie.

Con la scomparsa di Prete Gianni, si sarebbe estinto definitivamente l’ultimo avamposto del manicheismo orientale. Superfluo dire che la leggenda era stata dura a morire.

Prima dello scontro finale con Gianni, Gengis Khan riunì «i suoi astronomi cristiani e saracini, e comandò che gli dicessero chi dovea vincere. Gli cristiani feciono venire una canna, e fessorla per mezzo, e dilungarono l’una dall’altra, e l’una missono dalla parte di Cinghys e l’altra dalla parte del Presto Giovanni. E missono il nome del Presto Giovanni sulla canna dal suo lato e il nome del Cinghys in sull’altra, e dissoro: Qual canna andrà in sull’altra, quegli sarà vincente, Cinghys Cane (Gengis Khan) disse che questo egli voleva ben vedere, e disse che gliel mostrassero il più tosto che potessero. Quegli cristiani ebbero lo saltèro e lessoro certi versi e salmi e loro incantamenti: allora la canna ove era il nome di Cinghys montò sull’altra: e questo vidde ogni uomo che v’era. Quando Cinghys vidde questo, egli ebbe grande allegrezza, perché vidde gli cristiani veritieri. Gli saracini astrolagi di queste cose non seppero dire nulla […] Cinghys Cane vinse la Battaglia e fuvvi morto lo Presto Giovanni, e da quel dì innanzi perdeo sua terra tutta.»

L’ipotesi formulata da Marco Polo trova un preciso riscontro nella Storia del conquistatore del mondo dell’autore islamico del 1257 Djowéïnì o Gouwaïnì, recatosi alla corte dei re Mongoli. Nella sua opera egli riferisce che proprio in quegli anni Gengis Khan aveva sottomesso gli ultimi principati Uiguri rintracciandovi scritti di chiara impronta manichea in uso presso quella popolazione.

La famosa Lettera e le sue versioni

La lettera di Prete Gianni si era diffusa in Europa intorno al 1165 ed aveva immediatamente creato problemi. Tanto per incominciare la lettera esiste effettivamente ma, purtroppo, non ne esiste una sola edizione.

Allo stato delle nostre conoscenze ne sono note tre diverse versioni: sono state pubblicate da Gioia Zaganelli nel 1990. Sono diverse l’una dall’altra sia per quanto riguarda il contenuto, sia per quanto concerne la lingua impiegata nella redazione.

La prima è redatta in latino ed il testo non offre problemi né di interpretazione, né di lettura.

La seconda in lingua franco-normanna ed è di difficile lettura; in alcuni punti è praticamente illeggibile.

La terza è in francese antico. Questa, per quanto politicamente impegnata nel sostegno a Filippo il Bello, offre spunti interessanti ai fini della verifica delle tradizioni su Prete Gianni sebbene siano assenti molti elementi caratteristici della versione latina.

Della versione francese sono note due diverse edizioni:

  • la prima è stata attribuita a David II (imperatore d’Etiopia) ed è nota sotto il titolo: Les diversités des hommes des bestes et des oyseaux qui sont en la terre de Prestre Jehan;
  • la seconda sembra essere una versione parziale, ma modernizzata, comunque attribuita a Prêtre Jean, e nota sotto il titolo: Lettre de prêtre Jehan au pape et au roy de France contenant les diversités des hommes, des bestes et des oyseaulx qui sont en sa terr“. Questa è accompagnata da un commentario e da una nota manoscritta, del 1758.

I testi, per quanto difficili a leggersi, ci consentono di trarre alcune conclusioni sulla vicenda nel suo complesso e sull’unico documento in nostro possesso che sembra provenire dal misteriosissimo personaggio.

Innanzi tutto c’è da dire che costituiscono gli unici documenti storici di cui siamo in possesso: la lettera di Alessandro III del 1177 è scomparsa nella tempesta di sabbia del deserto iracheno. Sono invece di dubbia valutazione le ricerche su questo presunto re, “defensor fidei ante litteram”, identificato di volta in volta con i più diversi personaggi, dapprima soprattutto in India ed in Asia centrale, ed in ultimo con il sovrano abissino.

Sono invece da attribuire alla libera fantasia le ricerche che vennero condotte, a partire dal XV secolo, nelle Americhe (soprattutto nella Florida, in Brasile ed in tutta l’America Latina).

La fonte della Giovinezza tra Cina ed America

Don Juan Ponce de Leon alla ricerca della "Fountain of Youth"La sorgente del miracolo viene citata in numerose leggende cinesi. Per gli estremo-orientali, la patria della fonte dl miracolo dovrebbe trovarsi in Cina, presso le montagne K’un Lun nella misteriosa isola di Ying Chou oppure, da qualche parte, in Corea.

In una fiaba popolare coreana, infatti, due poveri contadini la scoprono casualmente: bevendone un sorso, tornano istantaneamente giovani. L’immancabile cattivo, un prepotente signorotto locale costringe i due a rivelarne l’ubicazione. Ma il prepotente esagera e, per pura avidità, ritorna bambino.

Tuttavia le narrazioni orientali non precludono una “seconda opportunità”: il prepotente bambino altro non è che un modo di vedere la sua palingenesi: il piccolo, adottato dai contadini, col tempo diviene un uomo saggio e stimato.

Tra gli esploratori delle Americhe non tardò a presentarsi il cercatore dell’acqua del miracolo: Don Juan Ponce De LeonPonce De Leon, nel 1493, era sulle navi che, con Cristoforo Colombo, raggiunsero l’isola di Hispaniola (Haiti). Qui gli indiani rivelarono che in un’isola, Bimini (nelle Bahamas) esisteva una fontana in grado di restituire la gioventù. La sua collocazione era tuttavia abbastanza approssimativa; le varie tribù la collocavano nei posti più impensati (a Bimini, ad Haiti, a Cuba, sulla costa settentrionale del Sud America, in Florida). Ponce De Leon comunque ritenne le informazioni sufficienti e partì fiducioso alla ricerca. Tra il 1512 e 1513 girovagò per i Carabi spostandosi da Portorico alla Florida orientale; quasi circumnavigò la Florida; si spinse poi a sud raggiungendo Cuba; poi si diresse ancor più ad oriente verso le Bahamas. Alla fine del 1513 era ancora una volta a Portorico, sconfitto ma non domo.

Nel 1521 era di nuovo in mare, ma non poté mai concludere la sua ricerca: venne colpito da una freccia di indiani ostili sulla costa della Florida, e morì di infezione a Cuba qualche settimana dopo. Alcuni cronisti dell’epoca (tra cui Oviedo e Fontaneda) riservarono a Ponce De Leon il sarcasmo di solito riservato agli ingenui.

Nella realtà fu un coraggioso al quale vennero ascritte diverse scoperte. Certo egli non trovò la “Fonte della Giovinezza” ma, in ogni caso esplorò il Canale di Bahama23 dando il proprio notevole contributo alla conoscenza antropologica dei Caraibi. La sua tomba, a Portorico, reca la scritta: “Qui giacciono le ossa di un leone (Leon) le cui gesta furono più grandi del suo nome”.

Prete Gianni ed il Barbarossa

Gli studiosi contemporanei sono indubbiamente meno entusiasti e sono piuttosto propensi a credere che la lettera di Prete Gianni fosse letteralmente un falso, una operazione propagandistica architettata da Federico Barbarossa. Egli avrebbe elaborato liberamente a vantaggio della propria politica imperialistica diversi elementi della letteratura antica, oltre che dei bestiari medioevali.

Lo scopo si dice fosse quello di contrastare lo strapotere della Chiesa romana scuotendo lo spauracchio di un alleato, potente quanto immaginario, ad Oriente.

Il mito, una volta creato, è però duro a morire: anzi – spesso in maniera paradossale – l’errore di partenza gioca contro l’ideatore e rafforza l’avversario.

Sarebbe accaduto così che, quando divenne chiaro che in Asia il misterioso personaggio non era mai esistito, il suo regno venne spostato, prima nelle Indie e poi in Etiopia, ed il Negus finì con l’incarnare il mitico personaggio e divenne il più potente nonché il più ricco uomo del mondo.

Proseguendo sulla strada di questa trasformazione soggettiva, si arrivò ad immaginare che il nome Gianni fosse la latinizzazione della parola Zan che, guarda caso, corrispondeva al titolo regale etiopico.

Non era ancora finita, perché il regno del mito non conosceva pace: mentre tutti discutevano su una collocazione Africana, il regno di Zan si era spostato verso l’Asia Centrale, verso il Turkestan. Accadde così che i seguaci di Gianni intanto erano divenuti i Mendayyeh di Yahia (cioè Discepoli di Gianni).

In tal modo Gianni (o Yahia), per interpretazioni cabalistiche, si era trasformato in sinonimo di Yahwe, ossia del biblico Dio ebraico.

C’è ancora di più: in quanto Signore dei Tempi assunse la fisionomia dello “Janitor” alchemico, fabbro o iniziatore dell’Opera, capace di armonizzare il dualismo fra inizio e fine, tra l’Alfa e Omega, del cammino vitale.

Questa ambiguità chiaramente denunciava il sospetto del manicheismo che da sempre affligge la figura di Prete Gianni sebbene egli, per proprio conto, intanto fosse divenuto un autentico trasformista: non è quindi un caso che Gianni divenne derivato di Giano (l’antica divinità latina dalle due facce).

Nel contempo nel suo simbolismo si volle vedere il Cristo e gli si attribuì il diritto di portare lo scettro regale quale legittimo erede del Padre Celeste, mentre con la mano sinistra teneva la chiave dei segreti eterni (24).

Tuttavia non bisogna sottovalutare un’altra possibilità: che testi finora considerati falsi (come la lettera attribuita al Prete Gianni) siano in realtà autentici e che Prete Gianni debba essere ricondotto al “Presto Giovanni” di cui parla Marco Polo…

Sezione documentale: La ‘Lettera’ del Prete Gianni ad Emanuele Comneno

Dal momento che non si conosce l’esistenza di manoscritti della lettera che risalgano al dodicesimo secolo, non siamo del tutto certi della forma originale del testo. Il filologo tedesco Friedrich Karl Theodor Zarncke riuscì a dimostrare che nel corso dei secoli ben cinque paragrafi vennero inseriti nel documento originario, ciascuno dei quali cercava di far sembrare il regno del Prete Gianni ancora più eccezionale. Quando, nel XIV secolo, venne introdotta l’ultima interpolazione, la lettera era ormai un vero e proprio compendio della geografia e del folklore storico del Medioevo (Robert Silverberg, La leggenda del Prete Gianni, Casale Monferrato, Piemme, 1998).

Il testo originario della lettera, così come è stato ricostruito da Zarnke, è il seguente:

Gianni il Presbitero, per la grazia di Dio e la potenza di nostro Signore Gesù Cristo, re dei re e sovrano dei sovrani, al suo amico Manuele, governatore dei bizantini, salute, con l’augurio di prosperità e di un costante godimento della benedizione divina.

La Maestà nostra è stata informata che tu tieni in grande stima l’Eccellenza nostra, e che la notizia della nostra grandezza è arrivata fino a te. Inoltre abbiamo sentito dal nostro segretario che era tuo desiderio inviarci alcuni oggetti d’arte e di valore, per il nostro piacere. Dal momento che altro non siamo che esseri umani, ce ne rallegriamo e per mezzo del nostro segretario ti inviamo alcuni nostri oggetti. È ora nostro desiderio conoscere se tu professi la vera fede, e in ogni cosa sei seguace di nostro Signore Gesù Cristo; dal momento che mentre noi sappiamo di essere mortali, i tuoi greculi ti considerano una divinità; eppure noi sappiamo che tu sei mortale e soggetto alle debolezze umane.

Se tu avessi desiderio di venire nel nostro regno, noi ti collocheremmo nella più alta e importante posizione della nostra casa, e tu potresti liberamente condividere con noi tutte le nostre ricchezze. Se dovessi desiderare di far ritorno [al tuo regno], partiresti carico di tesori. Se vuoi sapere su che cosa si basi il nostro grande potere, allora credi, senza ombra di dubbio, che io, Prete Gianni, sommo sovrano, supero per ricchezze, valore e potere tutte le creature che vivono su questa terra. Settantadue re mi rendono omaggio. Sono un buon cristiano e proteggo ovunque i cristiani del nostro impero, aiutandoli con elemosine. Abbiamo fatto voto di visitare il sepolcro di nostro Signore alla testa di una grande armata, come si conviene alla gloria della Maestà nostra, di combattere e di punire i nemici della croce di Cristo e di esaltare il Suo santo nome.

La nostra magnificenza domina sulle Tre Indie e raggiunge l’Estrema India, là dove riposa il corpo dell’apostolo san Tommaso. Si estende attraverso il deserto fino al luogo in cui sorge il sole e continua lungo la valle dell’abbandonata Babilonia fin nelle vicinanze della Torre di Babele. Settantadue province ci obbediscono, e di esse alcune sono cristiane; ciascuna ha un proprio re. E tutti questi sovrani sono nostri vassalli.

Nei nostri territori vivono elefanti, dromedari e cammelli e quasi tutti gli animali della terra. Nel nostro paese scorre il miele e dovunque c’è abbondanza di latte. In nessuna delle nostre province c’è veleno che possa nuocere o rane che gracidano, non ci sono scorpioni né serpenti che strisciano in mezzo all’erba. Nessun serpente velenoso può trovarvisi né usare il suo potere mortale.

In una delle province pagane scorre un fiume chiamato Pison che, sgorgando direttamente dal paradiso, attraversa serpeggiando tutta la provincia; e in questo fiume si trovano smeraldi, zaffiri, carbonchi, topazi, crisoliti, onici, berilli e molte altre pietre preziose.

C’è anche un mare di sabbia, dove non c’è acqua, dato che la sabbia si muove e forma delle onde simili a quelle del mare e non si ferma mai. Non è possibile navigare in questo mare o attraversarlo in qualche modo, e che tipi di territorio si estende al di là di esso ci è ignoto. E sebbene non ci sia acqua, eppure presso la sponda a noi vicina si trovano molti tipi di pesci, dal sapore estremamente gradevole e delizioso, di cui non esiste nulla di simile in nessun altro paese.

A tre giorni di viaggio da questo mare ci sono montagne dalle quali sgorga un fiume prezioso, privo di acqua, che scorre attraverso il nostro paese fino al mare di sabbia. Per tre giorni alla settimana scorre e trasporta pietre, grandi e piccole, e trascina anche legname fin nel mare di sabbia. Quando il fiume rggiunge il mare, le pietre e il legname spariscono, e non riappaiono più. Quando il mare è in movimento, è impossibile attraversarlo. Nei restanti quattro giorni lo si può attraversare.

Tra il mare di sabbia e le montagne di cui abbiamo parlato c’è un deserto. Sotto terra scorre un ruscello, che sembra che non abbia alcun accesso; e questo ruscello va a gettarsi in un fiume più grande in cui gli uomini del nostro regno entrano per estrarne una grande abbondanza di pietre preziose. Al di là di questo fiume vivono dieci tribù di ebrei, che, sebbene sostengano di avere i loro re, sono comunque nostri servi e vassalli. In un’altra provincia del nostro regno, vicino alla zona torrida, si trovano dei vermi, che nella nostra lingua sono chiamati salamandre. Questo tipo di vermi può vivere soltanto nel fuoco e produce attorno al proprio corpo un involucro come quello dei bachi da seta. Questo involucro viene filato dalle dame del nostro palazzo in modo da ricamare i tessuti che usiamo comunemente. Quando vogliamo lavare gli indumenti confezionati con questo tessuto, li mettiamo nel fuoco e ne escono belli e puliti.

In una pianura che si estende tra il mare di sabbia e le montagne c’è una pietra con un incredibile potere medicamentoso, che guarisce i cristiani, o quelli che vorrebbero diventarlo, da qualsiasi malattia di cui soffrano in questo mondo. Nella pietra c’è una cavità a forma di conchiglia in cui l’acqua è sempre profonda quattro pollici, e questa pietra è custodita da due anziani santi e venerabili. Essi chiedono ai visitatori se sono cristiani o se vogliono diventarlo, e se desiderano che tutto il loro corpo sia guarito; se la risposta è soddisfacente si spogliano ed entrano nella cavità; a questo punto se la loro fede è sincera il livello dell’acqua comincia a salire fino a coprire le loro teste; dopo tre volte l’acqua torna al suo normale livello. In questo modo chiunque vi entri ne esce guarito, qualunque fosse la malattia di cui soffriva.

Per abbondanza di oro, pietre preziose, animali di ogni specie e numero di abitanti noi riteniamo di non avere uguali sotto la volta celeste. In mezzo a noi non ci sono poveri; accogliamo tutti gli stranieri e i pellegrini; ladri e predoni non esistono nel nostro paese e non abbiamo né adulterio né avarizia.

Quando partiamo per la guerra le nostre truppe sono precedute non da stendardi, ma da tredici enormi e alte croci fabbricate con oro e ornate di pietre preziose; ciascuna di esse è seguita da diecimila soldati e centomila fanti, per non contare coloro che si occupano dei bagagli e delle provviste.

L’adulazione non trova posto nel nostro paese, in mezzo a noi non ci sono conflitti, il nostro popolo possiede molta ricchezza; i nostri cavalli, tuttavia, sono pochi e non di buona razza. Riteniamo che non ci sia nessuno pari a noi per ricchezza e numero di abitanti.

In circostanze normali, quando usciamo a cavallo viene portata davanti a noi una croce di legno, senza alcuna decorazione o oro o gioielli, in modo che ci ricordiamo della passione di nostro Signore Gesù Cristo e anche un unico vaso d’oro, pieno di terra, per ricordarci che un giorno la nostra carne si ritrasformerà nuovamente nella sostanza con la quale è stata creata, la polvere. Ma, oltre a questo, davanti a noi viene portata anche una ciotola d’argento piena d’oro, in modo che tutti sappiano che noi siamo il sovrano dei sovrani. La nostra magnificenza supera tutte le ricchezze che esistono al mondo.

Tra noi non ci sono bugiardi e nessuno oserebbe dire una menzogna, perché chi dice una bugia muore immediatamente ovvero è da noi considerato come morto. Per noi è un piacere seguire la verità e rallegrarcene.

Il palazzo in cui abita la magnificenza nostra è stato costruito prendendo a modello quello che l’apostolo Tommaso ha eretto per re Gundafor, e lo ricorda sia nelle stanze sia nell’insieme della struttura. I soffitti, i pilastri e gli architravi sono di bumelia lanifera. Il tetto è d’ebano, che non può essere rovinato dal fuoco. Alle estremità, sopra i timpani, ci sono due mele d’oro e in esse sono incastonati due carbonchi, di modo che l’oro brilla durante il giorno e i carbonchi durante la notte. Le porte più grandi del palazzo sono di sardonice intarsiata con il corno di un serpente chiamato vipera cornuta, in modo che nessuno possa entrare portando del veleno; quelle più piccole sono d’ebano, le finestre sono di cristallo. I tavoli a cui pranzano i nostri cortigiani sono in parte d’oro, in parte di ametista; le colonne che li sostengono sono d’avorio. Di fronte al palazzo si trova la piazza dove assistiamo alle celebrazioni dei processi mediante combattimento: la piazza è pavimentata con onice, affinché il coraggio dei combattenti sia accresciuto dalle virtù della pietra.

Nel nostro palazzo non brucia alcuna lampada che non sia alimentata da balsamo. La stanza in cui riposa la magnificenza nostra è meravigliosamente decorata con oro e tutti i tipi di pietre preziose. Ma laddove viene usato come ornamento l’onice, sono incastonate quattro corniole, in modo che l’influsso malefico dell’onice venga mitigato. Nella nostra camera oli profumati bruciano senza sosta. Il nostro letto è di zaffiro, che favorisce la virtù della castità. Possediamo le donne più belle, ma esse si accostano a noi soltanto quattro volte l’anno e soltanto per procreare dei figli, e quando sono state da noi santificate, come Betsabea lo fu da Davide, ciascuna se ne ritorna alla sua dimora.

Alla nostra tavola si nutrono ogni giorno trentamila uomini, oltre agli ospiti occasionali, e tutti costoro ricevono ogni giorno una somma dal nostro tesoro con cui provvedere ai loro cavalli e alle altre spese. Questa tavola è fatta di smeraldo prezioso ed è sorretta da quattro colonne di ametista; la virtù di questa pietra consiste nell’impedire che chiunque sieda a questa tavola possa ubriacarsi.

Ogni mese siamo serviti a tavola da sette re, ciascuno secondo il suo turno, da sessantadue duchi e trecentosessantacinque conti, oltre a tutti quelli che eseguono svariati incarichi per nostro ordine. Nella nostra reggia pranzano, ogni giorno, dodici arcivescovi alla nostra destra, e alla nostra sinistra venti vescovi e anche il Patriarca di san Tommaso, il Protopapa di Samarcanda e l’Arciprotopapa di Susa, città nella quale si trova il trono della nostra gloria e il nostro palazzo imperiale.

Ciascuno di loro torna alla propria abitazione ogni mese, quando è il suo turno; per il resto nessuno si allontana dal nostro fianco. Numerosi abati, tanti quanti sono i giorni dell’anno, officiano per noi nella nostra cappella.

Se vuoi sapere come mai il Creatore di tutte le cose, che ci ha reso il più potente e il più glorioso di tutti i mortali, non ci abbia dato un titolo più elevato di quello di presbyter, «prete», allora fa in modo che la tua saggezza non si stupisca di questo fatto, poiché questo è il motivo. Presso la nostra corte abbiamo molti ministri che nella gerarchia ecclesiastica hanno una dignità più elevata della nostra e occupano una carica più importante nell’ufficio divino. Poiché il nostro siniscalco è un patriarca e un re, il nostro maggiordomo è un arcivescovo e un re, il nostro ciambellano è un vescovo e un re, il nostro maestro di cerimonie è un re e un arcivescovo, il nostro capocuoco è un re e un abate. E pertanto non sembra adatto alla Maestà nostra assumere uno di questi nomi o essere indicato con uno di quei titoli di cui c’è abbondanza nella nostra corte. Perciò, per manifestare la nostra grande umiltà, abbiamo scelto di essere chiamato con un titolo meno importante e di assumere un rango inferiore. Se tu sei in grado di contare le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare, allora sarai in grado anche di valutare la grandezza del nostro regno e del nostro potere.

Note

1 Basterà pensare, a questo proposito, ai miti del ciclo Arturiano ed a quelli del Santo Graal, per convincersi.
2 Si pensi alle vicende di tesori nascosti (ad esempio nell’Edda) a draghi che ne sono custodi (Fafner), a spade insuperabili (l’Excalibur, la Joyeuse, la Durlindana).
3 Da Internet: Medioevo.com
4 è strano come nella vicenda di Prete Gianni compaia con tanta frequenza il Libano: sembra quasi che l’intera vicenda ruoti intorno ad un movimento di opposizione interna all’Islam. Si tratta forse di un movimento di opposizione collegato alle Crociate in corso?
5 Molto probabilmente un atteggiamento negativo sulla lettera deve attribuirsi alla circostanza che, ben presto, cominciarono a circolare edizioni chiaramente apocrife che furono contestate dalla steso Marco Polo il quale ebbe modi verificarne in loco la scarsa attendibilità. Per il veneziano il Prete Gianni è uno sconfitto, una quasi nullità ignorato anche da Gengis Khan che lo avrebbe umiliato in battaglia. Né più lusinghieri sono i giudizi di Ricoldo da Montecroce autore del “Libro della peregrinazione nelle parti d’oriente”. D’altra parte l'”Itinerario” di Guglielmo di Rubruck descrive il regno di Prete Gianni come una terra desolata di pastori e Prete Gianni ha un fratello idolatra che viene sconfitto in battaglia da Gengis Khan senza sollevare molti rimpianti.
6 Quando divennero chiare le commistioni con le vicende di S. Brendano (altro presunto eroe del X secolo).
7 Odierna Akkra.
8 Ricordiamo a questo proposito che una lettera del Papa Alessandro III, indirizzata nel 1177 al Prete Gianni inviata presso la corte etiopica.
9 Quella su Cristoforo Colombo, definito l’ultimo dei Templari.
10 Vasco da Gama, sostenne di aver sentito parlare (senza averlo mai visto) di un re di nome Prete Gianni, che regnava nell’interno dell’Africa Orientale. Probabilmente intendeva riferirsi al Regno di Zimbabwe.
11 Ad esempio per Oppert, Prete Gianni dovrebbe essere identificato con Yeliutashe, della dinastia Liao che ha regnato nella Cina Settentrionale dal 906 al 1125. Cacciato dai coreani, Yeliutashe si sarebbe spostato con la sua orda, tra l’Altadi ed il Lago d’Ararl, fondando l’Impero del Kara Khitai ed assumendo il titolo di Korkhan. Intorno al 1200 Gengis Khan avrebbe affrontato Prete Gianni una battaglia campale e lo avrebbe ucciso.
12 Il nome è riportato anche su una mappa che il Cardinale Guillaume Filastre ha presentò nel 1417 alla biblioteca di Reims: essa colloca nel capo più orientale dell’Africa. Gog e Magog erano due giganti delle leggende celtiche per quanto di derivazione biblica. Tale mito si sarebbe formato per distorsione, mescolanza e manipolazione di miti aventi caratteristiche comuni o comuni matrici. Ad esempio Gog è anche un demone dell’inferno islamico.
13 E ciò farebbe supporre che i due regni di Gog e Magog, nonché quello di Prete Gianni sarebbero esistiti almeno 500 anni prima dei fatti narrati.
14 Hailé Selassié affermava di discendere da Salomone e dalla Regina di Saba e l’Arca dell’Alleanza avrebbe fatto parte del suo tesoro imperiale.
15 In Medioevo.com.
16 In genere i testi di storia utilizzati nelle scuole del nostro Paese ignorano tutto ciò che succedeva ad est degli Urali.
17 “L’Islam”, in “I Propilei”, pag. 167. L’Autore ricollega il sorgere della leggenda non agli arabi, ma ai Turchi della Transoxiana (Selgiuchidi). Nel 1140 i Selgiughici erano in una fase di espansione dall’originale stanziamento del Lago d’Aral e, sotto Sangiar, si scontrarono con una setta rivale (quella dei Karachitay) rimanendone sconfitti.
18 Secondo altra lettura dei medesimi passi la crisi si sarebbe verificata e conclusa già nel IX secolo quando Orkhon venne distrutto e sostituito da un’organizzazione di tipo feudale di principati di ispirazione manichea. Nello specifico preferisco la prima versione che offre la possibilità concreta di un aggancio con la vicenda di Prete Gianni.
19 Vale a dire Emanuele Commeno, Federico II Barbarossa ed Alessandro III rispettivamente.
20 Il quale, tra l’atro, non si capisce come entri nella vicenda narrata da Oppert.
21 Il Milione cap. 73. Giorgio “De la provincia di Tenduc”, era davvero un parente di Yeliutashe e quest’ultimo sarebbe rimasto sul trono originale della tribù non lontano da Hwang-ho, e di Kuku-kotan, dove il Kutakhtu Lama dei Mongoli risiedeva quando Gerbillon ha visitato il luogo nel 1688. Era questo Re Giorgio che Frate Giovanni di Montecorvino afferma di aver convertito nel 1292.
22 Il viaggiatore veneziano nel “Milione” parla molto diffusamente di Prete Gianni ai capitoli da 63 a 67, 73, 107 e 108.
23 Passaggio obbligato tra Cuba e la Spagna per i futuri navigatori.
24 Giano ha la stessa radice del verbo ire (andare), radice che si trova anche nella lingua sanscrita, con lo stesso senso del latino: yana significa via, tao, nella tradizione orientale. Le dottrine del Prete Gianni sarebbero quindi riconducibili al dualismo Yin-Yang, lato oscuro e lato luminoso della natura che hanno nel Tao il loro principio supremo.

Bibliografia essenziale

Dalla biblioteca dell’autore:

Guy Annequin, in “Le civiltà minori del Mar Rosso“.
Wolfram von Eschenbach, “Parzival“, a c. Giuseppe Bianchessi – Torino, 1957.
Ludovico Ariosto, “Orlando Furioso“, canto XXXIII.
Julius Evola, “Il Mistero del Graal” – edizioni Mediterranee, Roma, 1972.
Arturo Graf, “Il mito del paradiso terrestre” – Basaia, Roma, 1982.
Arturo Graf, “Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo” – Torino, 1923.
Giovanni da Hildesheim, “Historia Trium Regum“, scelta e trad. it. di Alfonso M. di Nola: “Storia dei Re Magi” – Newton Compton, Roma, 1980.
Björn Landström, “Vägen till Indien“, Stoccolma, 1964, vers. it. di Aldo Devizzi: “Le vie delle Indie. Dalla spedizione alla Terra di Punt nel 1493 a.C. alla scoperta del Capo di Buona Speranza nel 1488 d.C.” – Martello, Milano, 1964.
Roberto Mancini, in Medioevo, 1997, n. 9, pag. 62: “Lo chiamavano Prete Gianni“.
Ruggero Marino, “Cristoforo Colombo, l’ultimo dei Templari” – Sperling & Kupfer, Milano, 2005.
Marco Polo, “Milione“.
Odorico da Pordenone, “Viaggio del Beato Odorico da Pordenone” – Milano, 1931.
Gioia Zaganelli (a cura di), “La lettera del prete Gianni” – Parma, 1990.

Altre opere:

Mario Bussagli, “La leggenda del Prete Gianni” – in: Abstracta, n. 6, giugno-luglio 1986.
Henri Corbin, “En Islam iranien” – Gallimard, Paris, 1971, vol. II.
Jean Doresse, “L’Empire du Prêtre-Jean” – Paris, 1957.
– W. Ley e L. Sprague de Camp, “Le terre leggendarie“, Edizioni Bompiani 1962, Cap. V: La terra del Prete Gianni (pagg. 117-130). trad. italiana a cura di Francesco Saba Sardi dall’originale “Lands beyond“, Ed. Reinheart & Co, Toronto-New York, 1952

R. Lefevre, “La leggenda del prete Gianni” – in: Annali Lateranensi, 8 (1944), (citato nell'”Enciclopedia Cattolica” alla voce “Prete Gianni”, vol. IX, p. 1982).
Gustav Oppert, “Der Presbyter Johannes in Sage und Geschichte” – ed. 2, Berlin, 1870 (citato nell'”Encyclopedia Britannica“, 1964, vol. 18, sub voce “Prester John”).
Pierre Ponsoye, “L’Islam e il Graal” – trad. Maurizio Murelli, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1980.
Guglielmo di Rubruk, “Itinerario“.
A.T. Serstevens, “Les précurseurs de Marco Polo” – Paris, 1959, trad. it. di Roberto Ortolani: “I precursori di Marco Polo“, Milano, 1960.
F. Wion, “Le Royaume historique. Du Royaume du Prêtre Jean à l’Empire de l’Agartha” – Paris, 1966.
U. Eco, “Baudolino“, Bompiani, 2000
Friedrich Zarncke, “Der Priester Johannes” – Abhandlungen der phil. hist. Klasse d. Kgl. Sächs. Gesell. d. Wiss., VII, Leipzig, 1879
– AA.VV., “Imperi delle Steppe. Da Attila a Ungern Khan“, Centro Studi “Vox Populi”, Trento 2008

AA.VV., “Encyclopedia Britannica” – 1964, vol. 18, voce “Prester John”.
Enrico Cerulli, voce “Prete Gianni” – “Enciclopedia Italiana“, 1949, vol. XXVIII.
Anonimo: “Les diversités des hommes des bestes et des oyseaux qui sont en la terre de Prestre Jehan” – BNF N053127, 1483.
– Wilhelm Baum, “Die Verwandlungen des Mythos vom Reich des Priesterkönigs Johannes“, Klagenfurt 1999

Anonimo: “Lettre de prêtre Jehan au pape et au roy de France: contenant les diversités des hommes, des bestes et des oyseaulx qui sont en sa terre“.
Zarncke, con note di Fabio Cavalli, 1998 versione del testo latino – “Accademia Jaufré Rudel di studi medievali“.
Errico Buonanno, “Sarà vero. La menzogna al potere. Falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la storia“, Einaudi, 2009 

Fonti

– Stelio Calabresi, per EdicolaWeb.net
WikiPedia, per parte della Bibliografia ed alcune immagini

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