La ‘Favola delle Api’ di Mandeville
Bernard de Mandeville (Rotterdam, 1670 – Hackney, 1733) nel 1705 compose e pubblicò un poema satirico, ampliato e riveduto fino al 1728, il cui titolo definitivo fu La favola delle api: ovvero vizi privati, pubbliche virtù.
L’intento dell’irriverente autore era quello di criticare la società del suo tempo, svelandone alcuni aspetti paradossali, tra i quali il rapporto esistente tra il vizio dei privati e la produttività del sistema economico. Le sue riflessione risultarono chiarificatrici nell’interpretazione della successiva società capitalista.
Il poemetto racconta la storia di un alveare prosperoso e produttivo, molto potente ed in grado di influenzare politicamente ogni altro alveare presente nel mondo. In esso regnava una grandissima disparità sociale in quanto alcune api erano proprietarie di enormi capitali e impiegavano milioni di altre api in occupazioni modeste, ma necessarie a garantire la ricchezza dell’alveare. Il lavoro delle api più umili generava enormi profitti ai ricchi che potevano permettersi una vita lussuosa, costruita sul sudore e sulle fatiche che doveva sopportare quasi metà della popolazione.
I cittadini più influenti erano gli avvocati, i medici ed i preti. I primi per garantirsi buoni onorari mantenevano sempre in vita le animosità nell’alveare, così da riuscire a gestire diverse cause legali garantendosi elevati introiti. I secondi sfoggiando false conoscenze consigliavano cure molto costose. I preti celebravano il culto di Giove e sfruttando la superstizione dei fedeli chiedevano avidamente copiose offerte, in cambio di inconsistenti benedizioni divine. I vizi privati dilagavano ovunque.
L’alveare era governato da un Re che evitava di cadere nell’eccesso della tirannia, ma non permetteva rappresentanze popolari, pericolose e difficilmente controllabili. I Ministri della Corona sfruttando la posizione ricoperta risolvevano i loro problemi personali ed economici, compiendo soprusi ed imponendo tasse che gravavano sulle api più povere. La Giustizia era implacabile con i più deboli ed i meno abbienti, mentre si dimostrava compiacente con i più ricchi ed i potenti.
Un Guantaio che si era arricchito e per anni aveva truffato le api più povere, si fece portavoce di una moralizzazione diffusa. In poco tempo riuscì a mobilitare buona parte della popolazione. Giove rimase colpito dal grido di giustizia che proveniva dall’alveare, così decise di concedere quanto richiesto, in poco tempo la virtù e l’onestà scesero sulla società.
Quali effetti si crearono nell’alveare? Ogni ape iniziò ad accontentarsi della sua situazione, rifuggendo da ogni vizio e vivendo secondo virtù. Così ben presto i litigi svanirono e gli avvocati finirono in rovina, i fabbri persero il lavoro dato che i crimini cessarono e non vi era più bisogno di armi o serrature, i Ministri lasciarono il potere a chi era più onesto ed integro e similmente fecero i preti, il lusso andò svilendo fino a svanire, le arti vennero abbandonate dato che risultarono superflue ed infine la Giustizia non avendo più compiti da svolgere lasciò l’alveare.
Coloro che non avevano un lavoro fuggirono dall’alveare, le tasse diminuirono e le finanze statali andarono depauperandosi, l’esercito venne ridotto e impegnato solo in eventuali guerre difensive. Ben presto eserciti nemici attaccarono l’alveare, che vinse eroicamente la lotta, ma migliaia di api morirono. La parte del popolo che rimase in vita, desiderando evitare il ritorno alla società del lusso e della produttività, abbandonò definitivamente l’alveare. Costoro si trasferirono in un albero e li vi vissero ricordando il periodo aureo in cui l’onestà e la virtù regnarono nel loro mondo.
Mandeville con questo poemetto volle mostrare come i vizi siano il motore della produttività. Il lusso, la lussuria, l’avarizia, il gioco, l’animosità stimolano la produzione di beni, la creazione di servizi, la circolazione del denaro. Il vizio, per quanto sia biasimabile, è necessario a garantire la costituzione di uno Stato potente. La critica alla nascente e futura società capitalistica condotta dall’autore è aspra e chiara, ma notiamo come egli sia costretto ad ammettere la presenza necessaria del vizio per stimolare la crescita, lo sviluppo e la sopravvivenza di una società.
Traspare l’assenza, nel pensiero dell’autore, di un ordine morale discendente dalla natura: la morale è propria unicamente dell’uomo. La società viene interpretata da una prospettiva conflittuale, anti-armonica. L’egoismo appare come la leva che consente al singolo di entrare in competizione con altri individui, generando i Vizi privati, i soli veri motori dei meccanismi economici. La Virtù intesa come il freno alle affezioni umane, provoca la riduzione delle situazioni conflittuali, eliminando così ogni stimolo alla produttività e generando unicamente ignavia e immobilismo.
Opere
– Bernard Mandeville, The Fable of the Bees: or, Private Vices, Publick Benefits, London, J. Roberts, 1714; 2a edz. ampliata, London, E. Parker, 1723; 3a edz. ampliata, London, J. Tonson, 1724 (a cura di D. Garman, London, Wishart, 1934; a cura di I. Primer, New York, Capricorn, 1962; a cura di P. Harth, Harmondsworth, Penguin, 1970; a cura di E.G. Hundert, Indianapolis-Cambridge, Hackett, 1997); trad. it. La favola delle api, ovvero Vizi privati Benefizi pubblici, a cura di C. Valenziano-Parlato, Torino, Boringhieri, 1961; La favola delle api, a cura di T. Magri, Roma-Bari, Laterza, 1987 (l’opera raccoglie L’alveare scontento, 1705; Prefazione, Introduzione, Ricerca sull’origine della virtù morale, Note, 1714; Conclusione, Saggio sulla carità e sulle Scuole di carità, Indagine sulla natura della società, Indice, 1723; ·Difesa del libro, 1724).
– Bernard Mandeville, The Fable of the Bees. Part II, by the Author of the First, London, J. Roberts, 1729 (1730, 1733, inclusa nei Collected Works of Bernard Mandeville, a cura di B. Fabian e I. Primer, vol. IV, Hildesheim-New York, Georg Olms Verlag, 1981; trad. it. Dialoghi tra Cleomene e Orazio, a cura di G. Belgioioso, Lecce, Milella, 1978); edizioni successive di entrambe le parti: 1734, 1755, 1772, 1795, 1806; The Fable of the Bees: or, Private Vices, Publick Benefits, a cura di F.B. Kaye, 2 voll., Oxford, Clarendon Press, 1924 (1957; Indianapolis, Liberty Fund, 1988; Oxford, Oxford University Press, 2001).
Fonti
– Rivista Orfeo, numero 1, Ed. RUA (Rete Universitaria Attiva)
– Wikipedia per le note bibliografiche sulle Edizioni]
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