La visitazione del Pontormo tra riforma e antecedenti pittorici
La se il punto più alto di quella che A. Chastel (Storia dell’arte italiana, Laterza, Bari, 1983, p. 397), definisce il primo periodo della Maniera; quello dell’orientamento anticlassico. A Firenze, artisti come il Rosso Fiorentino e lo stesso Pontormo, forzarono i modelli dei loro maestri, Leonardo, Michelangelo e Raffaello, producendo opere suggestive e visionarie. Eppure questo dipinto non è solo un tentativo di reinterpretare modelli precedenti, anche se vedremo in seguito i suoi legami con un’opera antecedente, ad un’attenta analisi rivela ben altro.
Nel suo saggio sul Pontormo (Art Dossier n. 110, 1996), Philippe Costamagna evidenzia come la Visitazione, oggi visibile presso la pieve di San Michele a Carmignano, stia a simboleggiare non solo – come voleva la tradizione – la transizione dall’Antico al Nuovo Testamento, raffigurati rispettivamente da Elisabetta e Maria, ma rappresenti anche un’allegoria dell’auspicato passaggio delle consegne tra la vecchia Chiesa romana e la nuova Chiesa cattolica.
Pontormo dipinse infatti quest’opera nel periodo della “Repubblica cristiana”, come si era definita la giovane repubblica fiorentina del 1527, nata dopo la fuga dei Medici conseguente al sacco di Roma da parte dell’esercito imperiale, composto per la maggior parte da lanzichenecchi luterani. Il desiderio di una riforma della Chiesa, che per il Pontormo non poteva che avvenire seguendo le passate indicazioni del Savonarola, era molto sentito in Italia grazie all’opera di Erasmo da Rotterdam, più che di Lutero. Costamagna non ha tuttavia spinto sino in fondo la sua analisi. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto una conferma dell’ipotesi da lui formulata che, in conclusione, ritiene la mancata menzione da parte del Vasari e il periodo di occultamento dell’opera presso Villa Pinadori, indici certi della pericolosità, ai limiti dell’eresia, del quadro.
I particolari che confermano l’ipotesi di Costamagna sono due. Il primo riguarda le due figure sullo sfondo, definite, non a torto, “ieratiche” dal nostro autore, che estende l’accusa di fissità simbolica anche alle figure di Maria ed Elisabetta. Quest’ultima affermazione è discutibile, e cercheremo di invalidarla in seguito. Torniamo alle due figure sullo sfondo: una ragazza e una donna di mezz’età. Se esaminiamo la loro posizione, notiamo subito come siano disposte simmetricamente, rispetto a Maria ed Elisabetta, costituendo una sorta di rafforzamento simbolico, poiché la giovane donna sta a fianco di Maria, mentre la donna più matura – forse Sant’Anna – sta dalla parte di Elisabetta. Entrambe fissano il riguardante, come per invitarlo a fare memoria della scena – l’abbraccio quasi paritario tra la Vergine ed Elisabetta – che si svolge davanti a loro.
Appare chiaro che anche le due donne sullo sfondo, con la loro diversa età, rappresentano l’una la Chiesa ideale, il rinnovamento, l’altra la tradizione da conservare parzialmente. Esse sembrano dire: “Guardateci, siamo noi la giusta via da percorrere”. La composizione simbolica della scena risulta quindi dall’interazione di tutte e quattro le figure presenti. Prendiamo ora in considerazione le due figure di Maria ed Elisabetta. Non sono affatto ieratiche, i loro sguardi ci parlano. La Vergine ha uno sguardo di amorosa richiesta, mentre il volto di Elisabetta esprime tenera conferma. La nuova Chiesa – Maria – chiede di essere ascoltata e accolta; la Chiesa romana – Elisabetta – l’accoglie con tenerezza. L’ipotesi di Costamagna sembra dunque confermata, ma c’è un terzo particolare, ancora da considerare, che pare ulteriormente rafforzarla. Per avvallare la propria legittimità, la nuova Chiesa, rappresentata dalla figura di Maria, si presenta ad Elisabetta con un gesto rivelatore, le tocca in modo innaturale ma simbolico il braccio. La posizione della mano destra di Maria infatti, sembra evocare, attraverso una ripartizione innaturale delle dita, la Trinità. Quale miglior viatico per rifondare la Chiesa cattolica?
Esiste però un legame tra quest’opera del Pontormo e , presente a Firenze, nella Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, sin dal 1490, data della conclusione del ciclo di affreschi. L’opera del Ghirlandaio infatti presenta lo stesso abbraccio quasi paritario tra Maria ed Elisabetta, e la stessa ieraticità delle figure, ma appare maggiormente legata alla tradizione – quindi passaggio da Antico a Nuovo Testamento – e sembra avere un valore puramente decorativo e aneddotico, derivante dalla mescolanza di ritratti dei committenti e di personaggi a lui contemporanei, con argomenti a carattere sacro. Anche le mura di Firenze, raffigurate dal Pontormo nell’opera che abbiamo esaminato, sono forse derivate dall’affresco del Ghirlandaio, il cui fondale è davvero complesso e articolato, quindi non un omaggio a quelle michelangiolesche della repubblica fiorentina, come vuole il Costamagna.
Ciò non toglie nulla, a mio parere, al tentativo di lettura della Visitazione di Pontormo che abbiamo sin qui condotto. Le cose non cambiano nemmeno se introduciamo un confronto con due precedenti visitazioni dello stesso, realizzate tra il 1514 e il 1516 ed oggi visibili rispettivamente a Palazzo vecchio ed alla Santissima Annunziata in Firenze. Qui la posizione di Elisabetta – quasi in ginocchio – è di deferenza e ammirazione, quindi legata al passo del Vangelo di Luca (1, 39-45) che riproduce. Anzi, proprio alla luce di queste due prime visitazioni, quella del 1528 appare ancora più innovativa, di rottura. Comunque sia, quest’opera rimane a tutt’oggi, assieme alla Deposizione del Rosso Fiorentino, tra le più moderne e suggestive, anche per l’uso del colore, di questo primo periodo della Maniera italiana.
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