Gardenio Granata, Prometeo: una filantropia senza futuro e “cieche speranze”
Prometeo ripercorre la storia dell’aiuto prestato agli uomini. Una rimemorazione incominciata dal complesso rapporto con la sovranità di Zeus. Una volta impadronitosi del potere e divenuto re di tutti gli Dei, Zeus si appresta a mettere ordine nel suo regno. Tra le iniziative cui si dispone vi è lo sterminio dell’umanità.
Dalla corte dell’impero si procede alla pianificazione di un genocidio: un’altra razza dovrà abitare e popolare la terra che sino a quel momento era possesso degli uomini. Misura, si direbbe, politica, con cui un nuovo potere procede a concludere il passato, a cancellare e a rimuovere non solo i nemici vinti, ma anche i testimoni di ciò che era stato prima. Ogni vittoria ha le sue vittime necessarie e la sua strage di innocenti, tanto più che nessuna colpa viene imputata ai mortali, nessuna esplicita motivazione viene allegata per giustificare il loro annientamento. Questione di mero arbitrio o di crudo realismo.
Tra tutti gli Dei, il solo Prometeo – così lui racconta – ha osato opporsi a tale decisione, ha avuto il coraggio di contrastare Zeus. Diversamente dalla narrazione di Esiodo (cfr. “Teogonia”), egli non definisce i preliminari confini della condizione umana, ma – ancor più radicalmente – strappa l’umanità alla completa distruzione: la conserva, unendo il passato al futuro. Ma l’opposizione di Prometeo alla morte non si limita solo alla dimensione di una collettiva e generale salvezza fisica. Il Titano deve ammettere di essere andato ben oltre, modificando, attraverso il suo intervento-dono, anche la psicologia e le potenzialità umane.
Un oltre che rincara e aggrava il contrasto con Zeus. Agli uomini liberati dall’incubo di una distruzione di massa Prometeo impedisce – con un ulteriore azione “mirata” di pensare al proprio destino individuale e soggettivo di morte: egli fa sì che gli uomini non sappiano più il giorno della loro fine, non abbiano più davanti agli occhi della mente il momento fatale in cui ognuno di loro dovrà comunque scendere nell’Ade. La visione costante della morte che incombe sull’esistenza, il sapersi mortali viene avvertito come paralisi e ostacolo al dispiegarsi dell’agire e del desiderio: è punto cieco in cui tutto si potrebbe spegnere prima ancora di iniziare.
Per contrastare tale ansioso pensiero annichilente, Prometeo ricorre ad un potente “phàrmakon”, a uno straordinario “rimedio”: le “cieche speranze” che egli installa nell’animo umano. Gli uomini devono dimenticarsi d’essere mortali, devono proiettarsi nel futuro senza fissare l’ostacolo di una condizione cui non è dato loro di sottrarsi. Grazie a Prometeo, gli uomini sono fatti per sperare muovendosi sulla lama acuminata delle illusioni. Ma sperare – si potrebbe osservare traendo le inevitabili conseguenze – induce anche a dimenticare il proprio limite e la connaturata finitezza, a una sorta di narcosi in cui l’essere diversi dagli Dei prende la strada, apparentemente aproblematica, dell’oblìo. L’azione di Prometeo appare come un inutile dispendio: un errore di valutazione che conduce allo scacco e che colloca in secondo piano i rapporti di forza. Gli uomini erano all’origine creature “effimere”, sottoposti alle alterne vicende del giorno, e tali rimangono nonostante i doni ricevuti dal Titano; e pur ammettendo che le tecniche loro insegnate hanno, almeno un po’, migliorato la loro esistenza, la massa umana resta comunque debole e incapace di ricambiare i “grandi” benefici avuti in dono.
Le invenzioni di Prometeo si rivelano doni a perdere nel circuito di uno scambio vano e impossibile. La filantropia di Prometeo è stato un cattivo investimento: non ha portato a nulla. Il suo eroe subisce la prigionia in ceppi e l’umanità torna sola ad affrontare angosciosamente il peggio uscito dall’apertura del vaso di Pandòra!… Plasmata da Zeus, ha ricevuto i doni di tutti gli Dei, che reca nel suo scrigno. Ella non sa cosa si celi dietro quei doni, non sa quali atrocità siano contenute in quel vaso. Ma, soprattutto, quello che Pandòra ignora completamente è di essere lei il dono mortifero del genere umano, pegno da pagare per essere sceso a patti con Prometeo. Pandòra, dunque, sarà per gli uomini una punizione sotto forma di un regalo – dono prezioso.
Essa è la capostipite della stirpe delle donne: ogni grazia e fascino viene conferito alla sua figura. Sotto tale aspetto seducente nasconde il “bel male” che introduce fra i mortali la forza pericolosa dell’éros. Una volta aperto il vaso dal contenuto esiziale escono tutti i mali capaci di assediare la vita degli uomini che fino a quel momento erano stati immuni dalle malattie, dalle sventure e dall’aspra fatica del lavoro. Nel vaso rimane solo la speranza “Spes ultima dea”: risorsa benefica che allevia in parte la sofferenza, ma allo stesso tempo elemento che non avrebbe ragione di esistere se la felicità fosse un sicuro possesso. Agli estremi confini della terra, incatenato a un dirupo resta Prometeo! Di che colpa orribile si è macchiato il titano per meritare simile pena? Gli uomini dei primordi erano come ombre vane; incapaci di badare a sé medesimi, schiacciati dal non-umano e da Zeus stesso, a costoro Prometeo ha inteso offrire una seconda creazione, rendendoli sovrani dell’intelletto (dono che si rivelerà drammatico nelle sue conseguenze!!).
La sopravvivenza del genere umano è quindi assicurata da un doppio artificio: il “dòlos” (inganno) e la “téchne” (tecnica). Prometeo dunque rappresenta il salvatore, è lui il farmaco per l’uomo che s’illude di liberarsi finalmente dai suoi vincoli con la divinità. Ma ogni farmaco è tale nella misura in cui, accanto all’aspetto curativo mantiene anche quello nocivo, ogni farmaco è insieme antidoto e veleno. Come ogni altro dono quello di Prometeo è insieme “dòron” (dono) e “dòlos” (inganno). Non per sbaglio, ma per volontà Prometeo ha deciso di dare i doni del “lògos” (ragionamento) e della “téchne” (arte tecnica) all’uomo e tra questi doni rientra anche quello di elargire agli uomini un onore eccessivo.
Conferendo tale onore Prometeo ha trasgredito l’ordine di Zeus, ma soprattutto ha in un certo senso danneggiato l’uomo, minando l’intera etica del dono. Secondo la suddetta etica la prospettiva del contraccambio del dono dovrebbe essere tutelata, ma i mortali non possono prestare alcun soccorso a Prometeo. Questi, estendendo il privilegio a chi non può ricambiarlo ha rotto l’equilibrio che sussiste solo nelle relazioni tra pari. I mortali, così effimeri e deboli, sono del tutto inadeguati a salvare il loro benefattore. Lui, il farmaco degli uomini, non risulta per se stesso un medico valente. Il dono di Prometeo si ritorce quindi contro lui stesso, realizzando quella connessione dono-inganno di cui sopra.
Ma tale prospettiva è rinvenibile anche dal lato opposto: tornando all’elargizione dei doni, notiamo che tra questi, oltre a quelli meramente riservati all’ambito tecnico, ve n’è uno, la speranza, che distoglie dagli uomini il pensiero fisso della morte, li strappa almeno “pro tempore” dal loro inesorabile destino. Ecco che il beneficio lascia trasparire ancora una volta l’inganno: gli uomini saranno liberati dal pensiero della morte a patto di una dimenticanza, quella del loro destino. Nuovamente il “dòron” (dono) cela dietro di sé un drammatico e terribile inganno…
Prof. Gardenio Granata
13 Novembre 2024
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