Viaggio al Vittoriale degli Italiani
Ad essere sincero, fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno che esistesse il Vittoriale degli Italiani e conoscevo molto poco la figura di Gabriele d’Annunzio, Principe di Monte Nevoso1. Il Vittoriale dovrebbe essere la seconda casa più visitata d’Europa, dopo quella di Shakespeare.
Il tutto ha inizio in uno dei tanti pomeriggi passati alla Libreria «l’Antro di Ulisse», grazie alla rivista Nemo #8 (Maggio 2009) dal titolo ‘Guida rapida al Vittoriale‘: “una pubblicazione senza pretese riservata ai benevoli frequentatori della Libreria, a cura del Prof. Riccardo Merlante e del Dott. Francesco Tebaldi”, come recita la copertina stessa.
Arrivato a casa, inizio a leggere con grande interesse di questa grande villa e parco che hanno dell’incredibile.
Quella stessa sera, uscendo con un mio amico per bere una birra e fare due chiacchiere, gli parlo di questa singolare cittadella monumentale, composta da vie, parchi, piazze, rivoli e teatri, che sarebbe stato bello visitare visto che non si trova troppo distante da Ferrara e il viaggio in giornata era fattibile. Detto fatto, il sabato dopo eravamo già in macchina.
Poco dopo l’uscita dall’autostrada – iniziando a salire per le colline vicino a Salò – si può ammirare tra le brecce degli alberi e delle case il meraviglioso paesaggio del lago di Garda fino ad arrivare a destinazione: Gardone Riviera (BS).
Parcheggiata la macchina nel verde posteggio riservato, ci incamminiamo verso l’entrata della villa, immediatamente di fronte alla chiesa e al comune del paese. Entrando e attraversando il primo Arco d’ingresso ad attenderci troviamo il mezzo busto del d’Annunzio in divisa militare. Proseguendo, si accede al Doppio Portale diviso da una fontanella al cui centro è raffigurato lo stemma del Principe di Monte Nevoso2, disegnato dal pittore Guido Marussig3, sormontato dal motto «IO HO QUEL CHE HO DONATO»4 e una citazione dal Libro segreto: «dentro da questa cerchia triplice di mura tradotto è in pietre vive quel libro religioso ch’io mi pensai preposto ai riti della Patria e dai vincitori latini chiamato ‘il Vittoriale’»5.
Con queste parole il Vate intendeva rendere la propria casa un monumento a se stesso, in cui richiudere le proprie memorie, e allo stesso tempo renderlo un monumento nazionale. Infatti, nel dicembre del 1923 il Vittoriale, ancora in costruzione, venne donato allo Stato con una precisa contropartita: «… dalla pubblica sanzione del suo ruolo di Padre della Patria conseguiranno i mezzi per la Fabbrica monumentale. La donazione sarà tanto più generosa quanto più consistenti saranno le risorse che gli verranno concesse». In questo modo d’Annunzio si poté procurare un infinito finanziamento ai suoi progetti per creare ed ampliare la propria cittadella monumentale. Impiegò grandi somme di denaro, in parte donate dal regime per riconoscenza o più probabilmente, per tenere lontano dalla vita politica il poeta, la cui popolarità avrebbe potuto togliere luce a Mussolini6.
Proseguendo dall’Arco di cui accennavo sopra, si può raggiungere da una parte il complesso monumentale della Prioria e lo Schifamondo e dall’altro il teatro all’aperto, parte dei giardini, villa Mirabella e il Casseretto. Continuando attraverso il terzo Arco, chiamato dell’Ospite, mai concluso, ci si trova di fronte al Pilo del Piave, che rappresenta il pilone di un ponte che attraversava il fiume Piave. In cima è presente una statua di Arrigo Minerbi7 che simboleggia la volontà della resistenza dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto. Il cammino è di nuovo interrotto dal Pilo del Dare in Brocca, per issare le bandiere, così chiamato per via dell’incisione, nel bassorilievo di Marussig, del motto che significa colpire il bersaglio.
Continuiamo verso il Teatro all’aperto, ispirato all’anfiteatro di Pompei e a quello greco di Taormina, che si affaccia sul lago: da qui si può godere la vista di un bellissimo paesaggio. Il teatro oggi è usato per le rappresentazioni teatrali delle opere dannunziane. Nel grande spazio sottostante l’anfiteatro, il 2 ottobre del 2010 è stato inaugurato il nuovo Museo “Il d’Annunzio Segreto“ contenente oggetti e vestiti fino ad allora inaccessibili. Attraversiamo il giardino segreto formato da varie terrazze e adornato da mosaici e statue dove è presente un pietra con la firma di Gabriele d’Annunzio: nella parte più intima del giardino c’è la tomba della moglie Maria d’Annunzio e dei cani preferiti a cui il Poeta era molto legato. Nei vasti giardini si trova anche quello delle Reliquie dei Massi Sacri e qui, su un architrave posto all’entrata retto da due antiche colonne e sormontato dalla statua di una Venere acefala, è inciso il motto «ROSAM CAPE SPINAM CAVE»8.
Questo giardino privato era ricco di rose e costellato di varie rocce che riportano i nomi dei monti del fronte italiano in cui si è combattuta la Prima Guerra Mondiale. Poco distante, in un angolo molto appartato, è presente l’Arengo, il luogo più sacro e simbolico dei giardini, dedicato ai riti della Patria in cui il d’Annunzio soldato9 rievocava e celebrava i momenti più significativi della propria esperienza assieme ai legionari di Fiume. Passando per il Cortiletto degli Schiavoni e il Portico del Parente si può risalire verso il complesso della Prioria, situato in Piazzetta Dalmata: il cuore del Vittoriale degli Italiani (nome contrapposto al Vittoriano, monumento nazionale dedicato a Vittorio Emanuele II).
Inizialmente la Prioria era la Villa di Cargnacco, contrada di Gardone Riviera, appartenuta allo studioso di storia dell’arte Henrich Thode, al quale era stata confiscata alla fine della guerra. Intuendone il potenziale, per il rigoglioso giardino a terrazze con vista sul lago, d’Annunzio dapprima la affitta, poi il 31 ottobre 1919, l’acquista. La prima aspirazione fu di trasformare e abbellire la casa secondo il senso estetico del Poeta, la seconda fu di ampliare il parco con altri acquisti di terreni, per garantirsi isolamento e tranquillità. d’Annunzio poté avvalersi del giovane architetto trentino Gian Carlo Maroni10, col quale collaborò strettamente alla definizione dei progetti architettonici e soprattutto alla cura dell’arredamento fino alla sua morte.
Nella Villa il Poeta abitò dal 14 febbraio 1921 fino alla sua morte. È costituita da una ventina di ambienti e contiene al proprio interno una ricca biblioteca di 33.000 volumi di letteratura italiana e francese, di storia, di libri d’arte e rare edizioni antiche fra cui anche cinquecentine e incunaboli. È il sancta sanctorum dell’intero complesso. La prima cosa che più colpisce è l’arredamento, che occupò a lungo d’Annunzio, rispecchiando il senso della vita dell’esteta, concepita appunto come opera d’arte, secondo una tendenza fissata da autori appartenenti al movimento decadentista: grande raffinatezza estetica, volontà di vivere la vita come un opera d’arte, ipersensibilità e coinvolgimento di tutti i sensi, consapevolezza di essere un eletto, un individuo superiore alla massa. Il Vittoriale rappresenta allo stesso tempo il corrispettivo materiale della poetica dannunziana, infatti al suo interno c’è un accumulo di oggetti della più svariata provenienza. Per questo il poeta ci invita a “leggere” la sua dimora e “decifrarla” per testimoniare un personaggio e un epoca. Il Poeta diceva: «Non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi…»11.
Il nome – Prioria – casa del priore – lo si di deve Ugo Ojetti, che vedendo la villa, la definì “vecchia, bassa e modesta come la casa di un parroco”12. Infatti sopra la porta d’entrata questa frase accoglie in visitatore: «CLAUSURA SILENTIUM FIN CHE S’APRA FIN CHE PARLI».
Entrando nel vestibolo sette gradini conducono ad un pianerottolo, al cui centro è posta una colonna in pietra, dono di Assisi, che reca alla sommità un canestro con emblematiche melagrane: il frutto “reale” cui d’Annunzio intitolò l’ultimo dei suoi cicli narrativi (I romanzi del melagrano). Questo frutto, riprodotto ovunque in ogni stanza (in vetro, pietra, rame o disseccato), è uno dei tanti leitmotiv della casa. Alla base della colonna i tre chiodi della passione stanno ad indicare la mescolanza di sacro e profano che caratterizza gli ambienti. Questa inaspettata colonna a prima vista sembra un ostacolo assurdo ma con la quale il genio dannunziano realizza una netta demarcazione tra gli ospiti graditi e quelli non graditi (spesso i suoi creditori). Tutte le stanze sono caratterizzate dalla penombra, poiché la luce diretta dava fastidio al poeta che soffriva di fotofobia, causata anche da un atterraggio di emergenza nel 1916 in cui si procurò una lesione alla tempia e che gli costò la perdita della vista nell’occhio destro.
I visitatori – e all’epoca le persone non gradite – vengono fatti entrare nella stanza sulla destra, la Stanza del Mascheraio, così denominata dai versi posti sopra lo specchio del camino:
AL VISITATORE: TECO PORTO LO SPECCHI DI NARCISO?
QUESTO È PIOMBATO VETRO, O MASCHERAIO.
AGGIUSTA LE TUE MASCHERE AL TUO VISO,
MA PENSA CHE SEI VETRO CONTRO ACCIAIO.
L’ammonimento è rivolto soprattutto a Mussolini durante la sua seconda visita nel maggio del 1925. È evidente la vena polemica e infatti i contrasti tra il Duce e il Vate furono frequenti. Nelle pareti della stanza vi sono circa 900 volumi della biblioteca Thode, sul tavolo si trova il cavallo bronzeo di Elting, in stile Déco. Inoltre sono presenti anche un apparecchio radiofonico e un grammofono, con un corredo di dischi anche di musica leggera. Da segnalare inoltre, il prezioso lampadario di vetro di Murano soffiato con mica d’oro, alcuni vasi faentini di Melandri e le sedie con lo schienale a lira di Gian Carlo Maroni.
Dopo questa. è possibile visitare la Stanza della Musica, una delle più affascinanti e suggestive di tutta la casa. Per favorire l’acustica, le pareti e il soffitto sono completamente rivestiti di preziosi damaschi neri e argento impreziositi da motivi di belve dorate, domate dalla musica, secondo l’antico mito di Orfeo (motivo che riprende quello rinascimentale presente alla corte Estense di Ferrara). La penombra prodotta dalla poca luce che filtra dalle vetrate alabastrine aiuta a trovare la concentrazione degli ascoltatori e il raccoglimento. L’intero ambiente è dominato da una decina di colonne sormontate da zucche policrome e cesti di frutti di vetro di Murano, illuminate dall’interno. La suggestione è poi accentuata dalla presenza di numerosi strumenti musicali, da alcuni dipinti della collezione Thode tra cui un ritratto di Cosima Liszt Wagner di Von Lenbach e dalle maschere funerarie di Beethoven e Liszt. In questa stanza la pianista Luisa Baccara13, ultima amante del poeta, suonava di frequente e qui si esibivano anche gli archi del Quartetto del Vittoriale. Dalla prima finestra entrando, il 13 agosto 1922 alle ore ventitré circa, d’Annunzio cadde e riportò una grave ferita al capo (da lui ricordato come Volo dell’Arcangelo): ignote sono le cause dell’incidente, certo è solo che il 15 di quel mese il Vate avrebbe dovuto incontrare Mussolini e Nitti, un vertice che invece disertò. Il poeta usa questo incidente come artifizio per scrivere il frontespizio del Libro Segreto dal sottotitolo Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire (1935), a cui affida riflessioni e ricordi nati da un ripiegamento interiore espressi in una prosa frammentaria.
L’ambiente successivo intriso dal pensiero della morte è la Stanza del Mappamondo, chiamata così per la presenza del grande globo geografico. È una delle biblioteche più grandi della villa (nei suoi scaffali sono presenti 6.000 volumi della biblioteca Thode) ed è composta da 33.000 opere. Tra le teche degli appunti, le bacheche delle bozze, le vetrine delle traduzioni straniere emerge nelle stanze dell’intero Vittoriale il gusto delle reliquie, che sono innumerevoli. L’accostamento simbolico e surreale dei più disparati oggetti, immersi in luci armoniose riconducono al rifugio privilegiato dell’esteta, proiettato però in questo caso verso l’interpretazione dei ricordi, in atmosfere un po’ funebri e impregnate dall’idea della morte. Quindi, anche in questa sala è rievocato il tema conventuale mediante la presenza di un organo ornato da statue (dette “piagnoni”) che decoravano le tombe francesi. Inoltre sono presenti la maschera funebre di Napoleone, il busto di Michelangelo, considerato dal Vate il Parente, e il gesso del Tondo Pitti. Un altro grande personaggio culturalmente importante per il Poeta è Dante Alighieri raffigurato in una nicchia da Adolfo De Carolis14 in un incisione del 1920. Ancora, sul tavolo vi è agiata una preziosissima edizione della Divina Commedia, del 1927, illustrata da Amos Nattini.
Continuando con la visita guidata, si arriva alla stanza chiamata Zambracca (antico vocabolo provenzale che significa donna da camera). Questa era lo studiolo del Poeta, dove principalmente smistava la posta, inoltre era adibito anche a guardaroba e anticamera da letto. Vi sono anche qui preziosi oggetti come animali esotici in vetro di murano e il completo da scrittoio firmato dall’orafo del Vittoriale, Mario Buccellati. È qui che muore all’improvviso d’Annunzio il 1° marzo 1938 alle venti e cinque minuti: accusa un malessere mentre attende di andare a cena, sollecita un’iniezione calmante, ma dopo pochi attimi spira, stroncato da un emorragia celebrale.
Questa anticamera porta alla Stanza della Leda, la stanza da letto che il Vate chiamava anche stanza del Prigione a seconda che si riferisse al calco in gesso dorato (in stile Déco) della Leda che si trasforma in cigno, oppure a quello del Prigione morente michelangiolesco, entrambi collocati davanti al letto. Su quest’ultima opera, d’Annunzio è intervenuto patinando e dorando il calco di propria mano e fasciando i fianchi con un drappo di seta. All’ingresso, sull’architrave si legge il motto: «GENIO ET VOLUPTATI», mentre all’interno è appesa una piastrella con inciso il motto: «PER UN DIXIR».
Anche qui, sono collocati disparati oggetti, come gli elefanti in maiolica cinese, e i piatti arabo persiani. Accanto al letto, i volumi degli autori preferiti da d’Annunzio: Shakespeare, Dante, Verlaine, Stendhal. Sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati alcuni versi danteschi tra cui: “Tre donne intorno al cor mi son venute…”. È qui che si celebravano i frequenti riti amorosi.
Aggiunta dal Maroni, per schermare la luce diretta del sole sulla stanza da letto, e suggestivamente affacciata sui giardini del Vittoriale, ricca di oggetti e libri è la Veranda dell’Apollino: il nome della piccola stanza deriva dalla piccola statua di un Kouros che il poeta ha voluto personalizzare dipingendo gli occhi di azzurro, aggiungendo un prezioso perizoma e un fascio di spighe dorate simbolo di fecondità. Questa stanza era chiamata dal Vate anche Biblioteca mascula. Sul tavolino le fotografie della madre e dell’amata Eleonora Duse15.
Continuando la visita, dalla veranda si passa al Bagno Blu, che solo nel 1932 il Vate trasformò come è possibile vedere oggi, arricchendolo di mattonelle e scegliendo il blu e verde come toni dominanti. Assume il duplice ruolo di purificazione e di ricerca esasperata del sovrabbondante, infatti vi si trovano circa ben 900 oggetti. Sul soffitto è dipinto ripetutamente il motto tratto da un’Olimpica di Pindaro: “Ottima è l’acqua”. Da notare in particolare un elefante con bajadera in ceramica e il calco della Testa Palagi, la copia più fedele dell’Atena Lemnia di Fidia.
Passando per la Ritirata, si giunge alla Stanza del Lebbroso, dove il Poeta sostava in meditazione nelle solenni ricorrenze: l’anniversario della morte della madre (17 gennaio 1917), di Eleonora Duse (22 aprile 1924), degli amici più cari, dei legionari di Fiume e dei giorni memorabili delle imprese di guerra. Il luogo, uno dei più suggestivi, è ascetico e mortuario, allestito proprio perché vi fosse esposta la sua salma (il che avvenne nella notte tra 1 e 2 marzo 1938) nello stretto letto, che imita il giaciglio dell’altorilievo tombale ravennate di Guidarello Guidarelli. Il letto è quasi culla e quasi bara e per questo definito letto delle due età. Il lebbroso, a cui la stanza si intitola è proprio lui, il Poeta, che così si definisce rinnovando la credenza medievale secondo la quale il lebbroso è signatus, toccato da Dio, e quindi sacro, se non addirittura il Cristo stesso. Nonostante l’intensità simbolica, questo è uno degli ambienti più ordinati e armoniosi, dalla coerenza francescana e per questo d’Annunzio chiese la tonalità delle pareti nel colore primitivo della veste di San Francesco. Particolare è il soffitto intagliato a puzzle. “La stanza è un miracolo di là della tua arte e di là dalla mia ispirazione. È un miracolo ed un mistero per entrambi inconoscibili.”, con queste parole d’Annunzio esprime la propria ammirazione per l’allestimento della stanza.
L’itinerario ideale continua lungo il corridoio denominato Via Crucis, in quanto sono presenti le stazioni in formelle di rame smaltato rappresentanti la Passione, ma poste secondo un diverso ordine proprio del Vate. Dalle finestre si può ammirare il cortile degli Schiavoni e il Portico del Parente in cui sono poste riproduzioni di opere di Michelangelo.
Dopo averlo attraversato si arriva alla Stanza delle Reliquie, che inizialmente fu pensata come stanza da pranzo e da musica, fu invece adibita a custodire le reliquie di guerra fiumane. D’Annunzio fu molto legato a Fiume in quanto nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare: guidò una spedizione di “legionari” partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa) all’occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all’Italia (vittoria mutilata, locazione cognata dallo stesso d’Annunzio). Con questo gesto d’Annunzio raggiunse l’apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico. Il 12 novembre 1920 viene stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all’Italia. Ma d’Annunzio non accettò l’accordo e il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza: evento ricordato come il Natale di Sangue.
Tra le varie reliquie troviamo il Gonfalone della Reggenza del Carnaro (entità statuale proclamata da Gabriele d’Annunzio l’8 settembre 1920 nella città di Fiume) con le sette stelle dell’Orsa Maggiore rinchiuse in serpente che si morde la coda (simbolo di eternità), il grande arazzo di soggetto biblico e due altari, il volante spezzato del motoscafo dell’inglese Sir Henry Segrave, campione dell’entrobordo, morto il 13 giugno 1930 nel tentativo di superare, incitato dallo stesso Poeta, nelle acque del lago Windermere, il record di velocità. Sulla travatura si legge il motto «CINQUE LE DITA, CINQUE LE PECCATA», dal momento che dai sette vizi capitali d’Annunzio toglieva la lussuria e l’avarizia.
La camera successiva è caratterizzata dai fregi liliacei raffiguranti steli di giglio, dipinti da Guido Marussig ed è nominata Stanza del Giglio. Tremila libri di letteratura e di storia sono ivi contenuti. Sul fondo sono collocate due nicchie scaffalate che simboleggiano il raccoglimenti nello studio, per questo definite Pensatoi. Inoltre, è presente un armonium organo, che dona un tono di misticismo all’ambiente.
Anche la sala successiva, l’Oratorio Dalmata, è improntato a religiosità francescana. Questa è la stanza d’attesa per gli intimi e graditi ospiti, interamente rivestita dagli stalli di un coro settecentesco. Il nome è dovuto ad un leone proveniente dalla città dalmata di Arbe, collocato su una colonnetta romanica. Al soffitto è appesa l’elica del velivolo con cui Francesco De Pinedo realizzò nel 1925 una trasvolata record di 55.000 miglia, in sei mesi: da Sesto Calende a Melbourne, a Tokyo e infine a Roma. Il quadro seicentesco sulla parete di sinistra rappresenta Giobbe ed è opera della scuola di José de Ribera, il cammino è disegnato da Maroni.
Per accedere al piano superiore, si attraversa la Scala Libraria, tappezzata di volumi, scandita da alcune sculture lignee quattrocentesche di notevole pregio.
Al primo piano troviamo lo Scrittoio del Monco, studiolo adibito alla corrispondenza. Il nome deriva dalla scultura posta sullo stipite della porta: la mano mozza e la dicitura «RECISA QUIESCIT»16 stanno ironicamente ad indicare che d’Annunzio si dichiarava monco e non in grado o meglio, non intenzionato, a rispondere all’enorme quantità di lettere che riceve, soprattutto dai creditori (egli infatti scriveva che le sue lettere in futuro sarebbero valse molto di più del debito contratto). La stanza è sobria, rivestita di scaffali provenienti dalla Capponcina, la leggendaria villa di Settignano (vicino a Firenze). Su quattro scaffalature si trovano le quattro sentenze di Leonardo: «Accioché tu più cose possa, più ne sostieni», «Niuna casa è sì piccola che non la faccia grande uno magnifico abitatore», «Se tu vuoi che la casa ti paia grandissima pensa al sepolcro» e « E chi non ha sepoltura è coperto dal cielo».
La stanza seguente è una delle più importanti per lo scrittore e dell’intero Vittoriale: è l’Officina, lo studio il cui accesso è consentito attraverso una piccola e bassa porta che obbliga ad inchinarsi per entrare, gesto voluto dal Vate per omaggiare l’arte che qui nasceva. Infatti all’entrata si trovano le parole con cui d’Annunzio da’ il benvenuto al visitatore: «Non umile dinanzi alla vita, umile dinanzi all’arte» e il motto «Hoc opus hic labor est»17. Un altorilievo gotico raffigurante l’Annunciazione sta ad indicare che l’opera d’arte è un dono divino.
Il nome Officina deriva dalla definizione che il Poeta amava dare di sé stesso: operaio della parola. Egli qui lavorava anche 16 ore al giorno, scrivendo con penne d’oca o pennini in metallo su carta Fabriano con apposite filigrane disegnate da Murassig e De Carolis raffiguranti motti dannunziani. È l’unica stanza della Prioria illuminata direttamente e arredata in modo funzionale con mobili in rovere chiaro. Si trovano ancora allineati sulle varie scrivanie a isola i manoscritti, i documenti e i volumi consultati dallo scrittore. Tra i calchi presenti nella stanza risaltano i fregi del Partenone, la Nike di Samotracia e il busto di Eleonora Duse, la testimone velata del suo impegno, coperto da un velo dallo stesso Poeta per non essere distratto dalla bellezza della sua musa ispiratrice. Con queste parole all’inizio dell’Avvertimento nel Libro Segreto, d’Annunzio esprime la propria ammirazione: “[…] tutti i gessi del Partenone erano disposti intorno, su le alte e ampie mura, privi della lor bianchezza bruta e soffusi d’una patina ineguale d’avorio manipolata da lui stesso. Con che? Con molti segreti ma specialmente col caffè. […] com’egli svelò un giorno dichiarandosi maestro dei patinatori. non v’eran soltanto le metope equestri delle Panatenee, ma i più bei frammenti del frontone orientale […] né mancavano i più bei frammenti del fregio occidentale: le metope dei Centauri e dei Lapiti […] Presenti erano il Mantegna di Cesare, il Buonarroto della Sistina e della Sacrestia nova. […] rasentavano modelli di velivoli, rilievi di eliche, anatomie del cavallo e dell’uomo, utensili di fabbro e di falegname, maschere funebri […]”18.
Proseguendo per l’ultima stanza, si attraversa il cosiddetto Corridoio Labirinto, che raccoglie i libri della «Biblioteca gallica», sulla cui rilegatura, sul dorso e nel verso è impresso in oro l’emblema del Labirinto, ricavato da quello insigne nel Palazzo Ducale di Mantova. Il titolo del celebre romanzo “Forse che sì, forse che no” deriva dal motto del labirinto. Alle pareti vi sono circa 2.000 libri.
Ultima stanza visitabile è la sala da pranzo detta Stanza delle Cheli, che prende il nome dalla grande tartaruga (in greco khélys) posta a capotavola. Il carapace è quello originale della tartaruga regalata a d’Annunzio dalla marchesa Luisa Casati Stampa. La tartaruga, morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose, diventa allora simbolo di morigeratezza: la sua presenza a tavola doveva essere monito all’ingordigia dei convitati. Pur essendo la sala da pranzo, negli ultimi anni di vita difficilmente d’Annunzio sedeva a tavola con gli ospiti preferendo cenare da solo nella Zambracca. Gli onori di casa spettavano dunque alla compagna del poeta, la pianista veneziana Luisa Baccara. La tartaruga simboleggia anche la nascita della poesia dato che Apollo da un guscio di tartaruga ricavo al sua cetra, come ricorda lo stesso Poeta in “Laus Vitae”.
Lo stile déco del mobilio si ripete nel gruppo bronzeo del ‘Fauno e Ninfa’ di La Faguays, a un capo del tavolo al cui centro è collocata una serie di pavoni di bronzo argentato e pietre preziose.. Completano la mensa, dei bellissimi piatti d’argento con incisi i motti dannunziani. Probabilmente è la stanza più vivace della Prioria, arricchita con fastosità di sapore orientale-bizantino.
La cucina, è una delle più moderne dell’epoca, i muri sono dipinti di azzurro in modo da non attirare le mosche e altri insetti.
Uscendo, si ritorna in Piazzetta Dalmata caratterizzata da un pilo, la cui base è composta da due macine dell’antico frantoio della proprietà, decorate con otto mascheroni in pietra e una scritta inneggiante alla Vergine dello Scettro di Dalmazia. Sul pennone sventolava il gonfalone di Monte Nevoso.
A sinistra della Prioria troviamo lo Schifamondo, l’ala più recente del Vittoriale mentre a destra si notano le Torri degli Archivi. In una vetrina sono esposte una Fiat 501 Torpedo (utilizzata da d’Annunzio per la marcia su Fiume) e la Isotta Fraschini, ultima automobile del poeta, amante di tutto quanto era connesso alla velocità e al rischio. Un lusso concesso a pochi. Lo Schifamondo sarebbe dovuto diventare la nuova residenza del Poeta ma non venne mai abitata in quanto non ancora ultimata al momento della sua morte. Venne concepito dalla mente dell’architetto Giancarlo Maroni come un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave: tutto questo in una raffinata atmosfera déco. Al piano superiore di questa palazzina è stato allestito il museo della Guerra, che testimonia l’esperienza militare del Poeta Soldato. All’interno sono perfettamente conservati il pastrano nero in cuoio, i guantoni, la giberna, il cappuccio, che d’Annunzio utilizzò durante la beffa di Buccari, gli occhiali e la cuffia del volo su Vienna, le armi bianche e da fuoco risalenti al periodo della Grande Guerra, il medagliere e le divise militari, e infine i gagliardetti, i labari e le grandi bandiere: quella italiana dove venne avvolto il corpo morente di Giovanni Randaccio19, quella gialla rosso e blu della città di Fiume, il gonfalone della Reggenza del Carnaro simbolo dell’ultima grandiosa impresa del Poeta-Soldato. Significativa è anche la presenza, tra i tanti oggetti, di un gagliardetto azzurro dei legionari fiumani recante il motto «ME NE FREGO» ricamato in oro al centro: motto che era apparso per la prima volta sui manifesti lanciati dagli aviatori della Squadra del Carnaro su Trieste.
Al pian terreno è ora presente l’Auditorium che ospita una mostra fotografica permanente dedicata alla vita inimitabile del Poeta e della Belle Époque del primo novecento. Ovviamente anche l’Auditorium come ogni angolo della cittadella ha una propria caratteristica che lo rende unico e indelebile dalla memoria. Sul soffitto è appeso il vero biplano biposto Ansaldo SVA 10 con cui il 9 agosto 1918 avvenne l’audace volo con cui d’Annunzio lanciò dei volantini su Vienna20.
Il messaggio scritto fu questo:
VIENNESI!
Imparate a conoscere gli italiani.
Noi non veniamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.
Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darci nè pace nè pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni.
VIENNESI!
Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perchè vi siete messa l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi.
Volete continuare la guerra? Continuatela. È il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: Si muore aspettandola.
POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svégliati!
VIVA LA LIBERTÀ!
VIVA L’ITALIA!
VIVA L’INTESA!
Da segnalare la cloche d’aereo, donata al “Superuomo” da parte degli aeropoeti futuristi italiani, firmata da Filippo Tommaso Marinetti21: rilevante, infatti, è che d’Annunzio fu anello di congiunzione tra il decadentismo e il movimento futurista.
Dall’Auditorium si accede ad una sala dedicata alla fabbrica del Vittoriale e alla sua costruzione.
La provenienza del nome Schifamondo è da ricercarsi nel ferrarese Palazzo Schifanoia, celebre residenza estiva degli Estensi di Ferrara. Un altro riferimento a Ferrara e agli Estensi lo si trova nell’introduzione del libro Le cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire in cui cita Lucrezia Estense Borgia duchessa di Ferrara, donna di affascinante bellezza e acuta intelligenza.
Dirigendosi verso la parte settentrionale della Cittadella, si sale attraversando il Viale degli Aligi che porta fino al Fontanone del Delfino abitato da pesci rossi. Questo richiama la forma ad esedra della Fontana dell’Ovato nel parco di Villa d’Este a Tivoli e raccoglie le acque del Rivotorto per dar vita al rivo dell’Acquapazza che scende fino al lago. Nei pressi della fontana troviamo un arca di pietra e l’Obice Ansaldo 105 impiegato dall’esercito italiano durane il primo conflitto mondiale.
Salendo ancora troviamo un fabbricato simile a un capannone sempre progettato dal famoso architetto nel 1942 ma realizzato soltanto nel ’58. Sull’edificio di color giallo, di fianco alla porta d’entrata si trova la scritta: “MEMENTO AUDERE SEMPER”22, formando l’acrostico MAS.
MAS era la sigla dei Motoscafi Armati Svan, al bortdo del quale d’Annunzio con Luigi Rizzo e Costanzo Ciano durante la notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 nella baia croata di Buccari (Bakar in croato) realizzarono la cosiddetta Beffa di Buccari. Dopo quattordici ore di navigazione riuscirono a penetrare per oltre 80 chilometri tra le difese costiere nemiche nelle Bocche di Cattaro. Il d’Annunzio soldato era a bordo del MAS 96, comandato dal tenente di vascello Rizzo, col quale approdò nella baia nemica sulla costa Dalmata e non trovandovi navi da affondare, lasciò «tre bottiglie beffarde co’ loro sugheri e le fiamme tricolori»23. Il testo della beffa riportava: «In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia».
Nonostante non avesse prodotto risultati materiali particolari, anche se lanciarono sei siluri contro alcune navi avversarie, tale azione ebbe l’effetto di risollevare il morale italiano, soprattutto dopo lo sfondamento di Caporetto avvenuto alcuni mesi prima.
Nell’edificio sono presenti inoltre i carteggi riguardanti questa impresa, fotografie dei motoscafi e due motori. Sul MAS ospitati nella torre San Marco, negli anni trascorsi al Vittoriale, il Vate compiva escursioni sul lago di Garda.
Continuando per la via ciottolata si sale sul Colle Mastio, il punto più alto di tutto il Vittoriale che ospita l’imponente Mausoleo. Progettato da Maroni nel 1939 e ispirato ai tumuli funerari di epoca etrusco-romana, fu costruito nel 1955 dove erano collocate le arche tardo-antiche con le spoglie degli eroi fiumani. Il complesso è costituito da 3 gironi di pietra: il primo dedicato alla vittoria degli Umili, la seconda agli Artieri e la terza agli Eroi. Attraversando questi gironi, ho avuto l’impressione di essere in un labirinto, come se dalla morte non si possa sfuggire, ma questa è una interpretazione personale. Raggiunta la spianata superiore sono collocate a raggiera le dieci arche e al centro, sopraelevata, l’Arca del Poeta, la più vicina al cielo che domina l’intero complesso del Vittoriale. Nel 1963, in occasione del centenario della nascita, furono traslate qua le spoglie di d’Annunzio. Da questo altopiano, dietro ad un tricolore svolazzante, è possibile ammirare un paesaggio mozzafiato. Sotto al complesso è stata ricavata una cripta in memoria ai caduti dove arde una fiamma perenne, e murato il crocifisso bronzeo di Leonardo Bistolfi.
Scendendo si raggiunge il più suggestivo allestimento della Cittadella, la Nave Puglia. La poppa è stata ricostruita in pietra e collegata, con una sapiente opera ingegneristica, al Viale degli Aligi mentre la prua è direzionata verso l’Adriatico pronta a salpare per riscattare la tanto sofferta e cara costa Dalmata. Questa nave è legata ad un episodio della Grande Guerra: mentre l’incrociatore si trovava a Spalato, ci fu un tumulto e alcuni marinai italiani subirono un assalto dai nemici. Il Capitano Tommaso Gulli e il fuochista Aldo Rossi corsero in aiuto con una lancia della nave, ma vennero a loro volta feriti a morte. Sul secondo albero è presente un tempietto in memoria dei soldati caduti in mare. Nella pancia della nave è allestito un museo con alcune riproduzioni di navi da guerra.
Sulla prora è posta una polena in bronzo raffigurante la Vittoria alata appoggiata su tre frecce con il motto: «COSÌ FERISCI».
Ritornando verso l’uscita ci si può soffermare alla Piazzetta dell’Esedra, adiacente alla Piazzetta Dalmata, dove nelle arcate dei Loggiati sono poste alcune targhe in pietra. Al centro vi è lo stemma principesco di Monte Nevoso raffigurante la cima del monte coperta di neve sovrastata dalle sette stelle dell’Orsa Maggiore e il motto: «IMMOTUS NEC INERS».
Al centro della piazzetta c’è il Tempietto delle Memorie nella cui nicchia trovò momentanea sepoltura la salma di Gabriele d’Annunzio fino al trasferimento nel Mausoleo nel 1963.
Del complesso fanno parte anche il Casseretto (ovvero il ponte del comando), che dal 1934 fu lo studio e abitazione dell’architetto Gian Carlo Maroni, la Torre San Marco adiacente a Villa Alba sulle rive del Lago di Garda e Villa Mirabella, dove visse la moglie Maria Hardouin di Gallese, ma purtroppo non sono visitabili.
L’ora si è fatta matura, ed è giunto il momento di partire in direzione dell’Adriatico. Salutiamo il Vate. Ci congediamo con la promessa di ritornare a salutarlo.
Note
1 Nato a Pescara il 12 marzo 186, morto a Gardone Riviera il 1º marzo 1938. È stato uno scrittore, poeta, militare e politico italiano, simbolo del Decadentismo ed eroe di guerra. Soprannominato il Vate cioè “il profeta”. Il suo vero cognome naturale sarebbe Rapagnetta. Il cognome preso dallo zio è d’Annunzio ma spesso lo si trova scritto D’Annunzio.
2 Titolo nobiliare, creato motu proprio da Vittorio Emanuele III Re d’Italia con Regio Decreto del 15 marzo 1924, su proposta del primo ministro Benito Mussolini per il poeta e condottiero della prima guerra mondiale e dell’Impresa di Fiume Gabriele d’Annunzio. Il titolo non corrisponde ad un vero e proprio feudo principesco.
3 Nato a Trieste nel 1885, morto a Gorizia nel 1972 è stato un pittore e incisore italiano. A Milano lavorò intensamente anche come illustratore di libri e di riviste, come progettista di elementi di arredo, come architetto e come scultore.
4 Citato da Seneca nel IV libro del De benefeciis: «Hoc habeo quodcumque dedi».
5 Gabriele d’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire, A. Mondadori, 1995, pag. 61.
6 “D’Annunzio è come un dente guasto: o lo si estirpa o lo si ricopre d’oro.” (Benito Mussolini).
7 Nato a Ferrara nel 1881, morto a Padova il 9 maggio 1960. Artista prediletto di d’Annunzio, per lui realizzò anche il ritratto della madre Luisa (oltre al monumento funebre conservato nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara) e il busto di Eleonora Duse entrambi esposti al Vittoriale degli Italiani.
8 “Rosa raccogli, temi/evita la spina”
9 Si arruolò come volontario in guerra a 52 anni.
10 Nato ad Arco nel 1893, morto a Riva del Garda nel 1952. Battezzato ‘Maestro delle pietre vive’, nel 1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne assumerà la soprintendenza. È sepolto nel mausoleo del Vittoriale.
11 Atto di donazione del Vittoriale degli Italiani allo Stato italiano, stipulato il 22 dicembre 1923, poi perfezionato nel 1930.
12 Ugo Ojetti, Cose viste, 1921-1943, Sansoni, 1960.
13 Nata a Venezia il 14 gennaio 1892. Fu pianista di discreta fama e bravura e ultima convivente di d’Annunzio. Morì a Venezia, ultranovantenne, nel 1985.
14 Nato a Montefiore dell’Aso il 6 gennaio 1874, morto a Roma il 7 febbraio 1928, è stato un pittore, incisore, illustratore, xilografo e fotografo italiano. Fu noto anche come Adolfo de Karolis. Eseguì in xilografia i celebri motti dannunziani, brevi frasi create dal poeta a sottolineare particolari eventi vissuti o promossi.
15 Nata a Vigevano il 3 ottobre 1858, morta a Pittsburgh il 21 aprile 1924, è stata un’attrice teatrale italiana. Fu una tra le più importanti attrici teatrali italiane della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento simbolo indiscusso del teatro moderno, anche nei suoi aspetti un più enfatici.
16 “Tagliata riposa”
17 “Dov’è l’opera lì è il lavoro”
18 Gabriele d’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire, A. Mondadori, 1995, pag. 3-4.
19 Il 28 maggio 1917, il maggiore Randaccio, comandato da d’Annunzio durante le battaglie dell’Isonzo, si lancia con il proprio battaglione in un arrischiato assalto all’attacco della Quota 28 (Bràtina), posta oltre il breve corso del Timavo. Conquistata, a prezzo di pesanti perdite, la quota, Randaccio viene colpito da una raffica di mitragliatrice. Trasportato presso la sezione di sanità, spira poco dopo.
20 Il motto usato in questa impresa fu: “DONEC AD METAM” [Fino alla meta].
21 Nato ad Alessandria d’Egitto il 22 dicembre 1876, morto a Bellagio il 2 dicembre 1944. È stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano. È conosciuto soprattutto come il fondatore del movimento futurista, la prima avanguardia storica italiana del Novecento.
22 “Ricordati di osare sempre”, il più celebre motto di guerra dannunziano. Il primo pensato fu: “Motus animat spes” ma il motto sembrò poco energico a d’Annunzio, che lo cambio all’ultimo momento e lo fece incidere sulla tavoletta dietro la ruota del timone.
23 Gabriele d’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire, A. Mondadori, 1995, pag. 158.
Fonti
– Foto di viaggio di Tommaso Trombetta
– Nemo #8 (Maggio 2009) – ‘Guida rapida al Vittoriale‘ di Riccardo Merlante e Francesco Tebaldi
– Paola Sorge (a cura di), Motti dannunziani, Tascabili Economici Newton, 1994
– www.vittoriale.it
– www.Wikipedia.org
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