Åsne Seierstad, Il libraio di Kabul, Ed. Sonzogno

Åsne Seierstad, Il libraio di Kabul, Ed. Sonzogno

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Descrizione

Autore Åsne Seierstad Traduzione Giovanna Paterniti
Editore e Anno Sonzogno, Milano, 2007 Edizione XII Edizione
N. Volumi 1 N. Pagine 321
Dimensioni 14,5 x 22,4 x 2,3 cm. Peso (senza imballo) circa 0,38 kg.
Trama

Quando l’autrice, giovane inviata norvegese, entra a Kabul al seguito delle truppe alleate, una delle prime persone che incontra è Sultan Khan, un libraio incarcerato per due volte in nome delle libertà intellettuale e della dignità del suo paese.

Åsne viene accolta in casa Khan e diventa per circa un anno la “figlia bionda” del libraio. Da testimone ci racconta storie di libri salvati e squarci di vita quotidiana in Afghanistan attraverso amori proibiti, matrimoni combinati, crimini, punizioni, ma anche solidarietà e legami fortissimi.

Recensione (di Francesca Manco, dal sito www.mescalina.it)

«Il titolo fa pensare ad un romanzo, o addirittura ad una fiaba: la figura del libraio trascina con sé suggestioni che profumano di antico, quasi che i libri della sua bottega, nel nostro immaginario rigorosamente ingialliti e impolverati, emanino una voce umana che ci narra di Kabul, una città di cui tutti conosciamo poco. O meglio, di cui tutti conosciamo unicamente i recenti eventi: sappiamo che è stata pluri-bombardata a seguito di un attentato epocale. Tutto il resto, al di là delle opinioni e delle valutazioni personali, ci è ignoto.
A farci entrare nella realtà afgana, nei suoi colori e nei suoi dolori, è proprio il libraio, ma non è un romanzo, né tanto meno una fiaba, a raccontare la sua storia. Lo fa, invece, il resoconto dettagliato, intenso e appassionante di Åsne Seierstadt, giornalista norvegese e corrispondente di guerra giunta in Afghanistan nel novembre 2001.
Dopo la caduta del regime talebano, Åsne capita per caso in una libreria ed è l’incontro con Sultan Khan, il proprietario, a stimolare in lei il desiderio di entrare nelle profondità della cultura afgana.
Nessuno scenario bellico, infatti, può rendere lo spirito di un popolo con la stessa intensità che è data da un contatto umano, diretto ed affettivo, con la gente comune, e Åsne ne è consapevole.
Per questo avanza al libraio una proposta azzardata: chiede di poter vivere a casa sua, completamente immersa nella quotidiana vita domestica dei Khan, con lo scopo di scrivere un libro sulla famiglia ospitante.
La risposta del libraio è sorprendentemente semplice: dapprima ringrazia, per poi ripetere per due volte «benvenuta». Benvenuta Åsne lo è davvero: in casa vige l’ordine di non farle mancare nulla e tutti sono colmi di riguardi nei suoi confronti. La permanenza in casa Khan tuttavia non è un idillio, perché non lo è, né può esserlo, il contatto di una donna occidentale con una società che, alle donne, non riconosce molti diritti.
Il regime talebano, infatti, sebbene crollato, «non è scomparso dalle menti delle donne», né, tanto meno, da quelle degli uomini.
Suscita scalpore, per non dire sdegno, che una donna senta il bisogno di lavorare o di ricevere un’istruzione, e questo non è che la prima delle ingiustizie mostrate dall’autrice.
Ciò che maggiormente colpisce è indubbiamente la concezione comune afgana di temi come sessualità, erotismo, matrimonio ed amore.
L’amore, semplicemente, non è concesso, nemmeno contemplato: se provato, deve essere nascosto. Perché è la famiglia a decidere chi la figlia debba sposare, sulla base di criteri tesi a valutare la convenienza dell’ “affare”. Se poi la futura sposa, alla notizia di chi è il prescelto a cui dovrà unirsi, piange, questo è un buon segno, perché significa che «la sposa ha il cuore puro». Non importa se infranto. Le donne ritratte da Åsne Seierstad sono tutte abituate, e rassegnate, a nascondere questo come molti altri dolori, nello stesso modo un cui sono capaci di nascondere il proprio volto dietro ad un burka.
La società in cui vivono, d’altronde, è un contesto culturale dove «il termine per sposa e bambola è lo stesso: arus». E una bambola non può che dipendere da chi la possiede.
Significativa, in questo tragico scenario, è la frase d’apertura del libro: l’autrice riporta qui un le parole di un graffito visto su un muro, a Kabul: -Migozarad!-, cioè «Passerà!»

Note editoriali Edizione a copertina rigida con sovracoperta illustrata. Stato di conservazione: Più che Ottimo [il libro è stato utilizzato pochissime volte, e non reca strappi, rovinature, sottolineature, segni a penna o altre caratteristiche deturpanti l’estetica; leggero ingiallimento della costa superiore; la lieve (e normale) usura esterna è dovuta più che altro allo sfregamento del medesimo con gli altri libri a scaffale].

Informazioni aggiuntive

Peso 0,38 kg
Dimensioni 14,5 × 22,4 × 2,3 cm
Formato

Edizione

Anno di pubblicazione

Genere

Lingua

Condition Very Good
Notes Il libro è stato utilizzato pochissime volte, e non reca strappi, rovinature, sottolineature, segni a penna o altre caratteristiche deturpanti l'estetica; leggero ingiallimento della costa superiore; la lieve (e normale) usura esterna è dovuta più che altro allo sfregamento del medesimo con gli altri libri a scaffale.