Giovanni Becatti, Kosmos. Studi sul mondo classico, Ed. L’Erma di Bretschneider, 1987
Il prezzo originale era: €287,00.€148,00Il prezzo attuale è: €148,00. [€142,31 + I.V.A.]
Articoli scelti e raccolta di saggi di Giovanni Becatti riprodotti in ristampa anastatica, con cenni bio-bibliografici e un ricordo di Andrea Carandini.
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Descrizione
Edizione | L’Erma di Bretschneider, Roma, 1987 | Collana | Studia Archaeologica, #37 |
N. Volumi | 1 | N. Pagine | VIII + 768 |
Illustrazioni | Fotografie e disegni in B/N | Peso | 1,65 kg. |
Descrizione |
«È assai utile e piacevole avere riuniti in uno stesso volume diversi saggi di Giovanni Becatti [1912-1973], uno fra i migliori archeologi italiani della passata generazione. Di fronte a questa raccolta mi accorgo ancora una volta di quanto necessitino studi di storia della storiografia archeologica, specie di questo secolo. Speriamo che i giovani si dedicheranno anche a questo compito che la nostra generazione non ha saputo affrontare, tutta presa come è stata dal passaggio epocale, dal dibattito contemporaneo e dalla ricostruzione storica diretta. Né qui io saprei trarre in breve un bilancio della attività critica di quegli anni e in particolare dell’autore degli articoli che qui nuovamente si pubblicano. D’altra parte gli scritti rimangono e sarà sempre possibile valutarli. Purtroppo invece l’atmosfera di una vita, l’espressione di un volto e i tratti più umani svaniscono inesorabilmente, per cui questa mia testimonianza non è forse inutile per restituirci aspetti meno noti della persona di Giovanni Becatti, un archeologo che ho stimato, da cui ho imparato, che mi ha offerto insperate possibilità di ricerca e a cui ho voluto bene. Bianchi Bandinelli era riuscito a portare l’Istituto di Archeologia di Roma ad un grande livello. Intorno ai suoi famosi seminari si era raccolta una scuola fatta di persone molto diverse fra loro, ma tutte legate dall’ammirazione per la sua straordinaria cultura e per la sua sensibilità etica. Tutti noi allora giovani vedevamo chiaramente che la sua archeologia era inserita in un vasto contesto di relazioni ideali e morali, così raro presso gli studiosi più normali, anche di primo piano, che spesso si fan-no fagocitare dal loro oggetto di studio, perdendo così ogni contatto vivo con altre epoche e altri volti del sapere (non fu certo un caso che Bianchi Bandinelli fosse chiamato a Roma contro la volontà degli archeologi classici di allora). Insomma in quello che allora era il nostro Istituto si respirava un’aria finissima, del tutto insolita, ed eravamo molto fieri di farne parte. Erano allora anni di profonde trasformazioni, di dolorose contrap-posizioni. Quando Bianchi Bandinelli decise di lasciare l’Università rimanemmo sgomenti. Veniva a mancare il nostro punto di riferimento. Cosa ne sarebbe stato dell’Istituto, di noi? Su indicazione di Bianchi Bandinelli fu chiamato a Roma Giovanni Becatti; una scelta ottima che pienamente ci soddisfece, per cui l’accogliemmo in Istituto con molta simpatia. Pur essendo uno studioso interessato essenzialmente alla cultura figurativa non aveva dimenticato il suo lavoro sul campo di Ostia. Per questo volle uno scavo ostiense dove si potessero formare i giovani: fatto importante e del tutto nuovo per l’Istituto di allora. Lo scavo fu affidato a me, allora del tutto impreparato, per cui mi precipitai a imparare il mestiere dello stratigrafo da N. Lamboglia a Ventimiglia. Si aprivano a me e a tanti altri come me nuovi orizzonti di ricerca. Frugando nei sotterranei dell’Università scoprii allora un grande scantinato gremito di roba vecchia che apparteneva all’Istituto. Chiesi a Becatti se era possibile restaurarlo e attrezzarlo in laboratorio di scavo. Becatti accettò e provvide con entusiasmo a tutto. Nacque così il «cantinone», coordinato prima da me e poi, andato io a insegnare a Siena, da Clementina Panella, che ancora oggi lo anima, per cui quella attività rimane come una componente costante e in continuo sviluppo. Vi sono uomini che invece di avversare chi non è fatto alla loro immagine, di frenare fino ad arrestare le attività che non sono proprie, di mortificare fino alla denigrazione animi diversamente orientati — quante bocciature universitarie muovono da sentimenti di questo genere! — sanno cogliere tutta la ricchezza di una eredità culturale, sanno apprezzare le tradizioni di ricerca diverse dalle proprie e sanno creare le condizioni perché gli altri possano lavorare nel modo migliore. Essi compensano di tutte le miopie, ottusità e meschinerie di cui è intrisa la vita accademica e costituiscono una ragione di vita e di fiducia. Fra queste rare persone era senz’altro Giovanni Becatti. Il suo contegno era signorile, fermo e delicato ad un tempo. Con gentilezza mi diceva, un poco impaziente della nostra analiticità: ” Quando finiremo di scavare quegli ambienti? Quando smetteremo di raccogliere tutta quella ceramica, ora che avete già fatto tante tipologie?”. Non poteva non ricordarsi dei tempi e dei modi dello scavo a Ostia alla fine degli anni ’30: una intera città sterrata in pochi anni. Noi proponevamo un radicale rovesciamento nei metodi della ricerca sul campo. Molti erano contro di noi e si infuriavano contro l’archeologia dei cocci e degli strati. Ricordiamo che due pilastri della tradizione archeologica romana erano avversari strenui della stratigrafia: P. Romanelli sosteneva che a Ostia non esistevano gli strati e G. Lugli avversava le cronologie su basi ceramiche dei monumenti proposte da N. Lamboglia. Becatti si rendeva invece conto che un rinnovamento era necessario, si interessava al nuovo e ci lasciava liberi di seguire le nostre strade, proteggendoci (con disappunto degli archeologi più retrivi, che avevano sperato una sua chiusura nei nostri confronti). Per nulla intimorito dalle nostre intemperanze nella cura per il dettaglio, proponeva atlanti ceramici a supplemento dell’Enciclopedia dell’Arte Antica (due dei quali usciti) e favoriva i nostri studi sull’instrumentum domesticum. Chi di quella generazione avrebbe fatto altrettanto? A volte la sua calma e prudenza mi parevano eccessive e scalpitavo, ma oggi capisco il senso di quel suo elevato equilibrio e della sua maturità. Non dimenticherò la sua figura che arrivava nella tarda mattinata in bicicletta per vedere le novità della scavo delle Terme ostiensi del nuotatore. Tutti i giovani lo rispettavano. Ogni tanto andavo a discutere qualche problema nella sua casetta di Ostia. Quanta calma promanava da lui, in quel clima così scalmanato e ideologico. Non condividevo allora quel suo ritrarsi di fronte alle grandi questioni problematiche sollevate dal tempo, che Bianchi Bandinelli sapeva cogliere, anche quando sbagliava (come in Organicità e Astrazione), e che Becatti cercava di ricondurre a un buon senso non molto convincente (si veda qui la critica a Organicità e Astrazione). Ma io comunque guardavo con molto rispetto al suo modo di essere, tutto apollineo, per niente dioni-siaco. E quanto Dioniso allora imperava! La sua grande ammirazione e amicizia per Bianchi Bandinelli (così rara presso i suoi colleghi, anche per questo non poco indispettiti) e il suo legame per un’altra figura singolare dell’archeologia di allora, Raissa Calza (anch’essa poco amata dall’archeologia ufficiale di allora, perché di mente troppo libera), erano altrettanti motivi per farmi sentire Giovanni Becatti come parte della sola famiglia archeologica cui mi sentissi di appartenere, estranea alla tipologia del solito professore, del solito soprintendente, che erano per noi figure da incubo. Poi d’un colpo Becatti ci fu tolto e allora capii che una intera stagione archeologica era conclusa a Roma, non molto felicemente per chi vi aveva partecipato, perché era chiaro che con la sua morte l’Istituto romano sarebbe tornato a somigliare a quello precedente l’arrivo di Bian-chi Bandinelli, salvo alcune significative a “resistenze”. Questo allora pensavo. Ma in realtà quanto più si vuole cancellare un ricordo importante, tanto più esso riemerge. I semi allora gettati nel nostro vecchio Istituto danno ogni anno i loro frutti fuori. Roma e anche a Roma. Serva questa testimonianza a ricordare che Giovanni Becatti vive ancora non solo nelle sue importati ricerche, ma anche nel suo saper essere stato un uomo al di sopra delle parti — non riducibile all’establishment di allora (come da qualche parte ancora si vorrebbe) — capace cioè di tollerare la diversità rispettandola invece di considerarla nemica. Queste doti umane possono servire al progresso generale della ricerca per vie diverse ma non meno importanti di quelle tracciate dalle singole opere. Potranno esse mai risorgere, in tempi migliori, fuori dai ciechi scontri? [Andrea Carandini]
Indice:
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Stato di conservazione |
Ottimo [strutturalmente senza problemi, non reca scritte né segni alle pagine, non presenta strappi o usure gravi, la legatura è compatta e tenace, l’ingiallimento della carta non fuori dalla norma per l’età ed il materiale; copertine rigide pressoché intatte e sovracoperta in ottimo stato, con minimi segni di vissuto ai bordi; leggera polvere alle coste] |
Informazioni aggiuntive
Peso | 1,65 kg |
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Edizione | |
Luogo di pubblicazione | Roma |
Anno di pubblicazione | |
Caratteristiche particolari | |
Illustrazioni | |
Formato | |
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Soggetto | |
Colore principale | |
Lingua |
Condition | Very Good |
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Notes | Ottimo: la sovracoperta è leggermente "vissuta" ma sicuramente decorosa e ben conservata, il resto è perfetto. |
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