Isidoro Del Lungo, I Bianchi e i Neri. Pagine di storia fiorentina da Bonifazio VIII ad Arrigo VII per la vita di Dante, Ed. Ulrico Hoepli, 1921
€35,50 [€34,13 + I.V.A.]
I Bianchi e i Neri. Pagine di storia fiorentina da Bonifazio VIII ad Arrigo VII per la vita di Dante
- Descrizione
- Informazioni aggiuntive
- Recensioni (0)
Descrizione
Edizione | Ulrico Hoepli, Milano, 1921 | Illustrazioni | Fotografie in B/N f.t. con velina protettiva |
N. Volumi | 1 | N. Pagine | XI + 464 |
Dimensioni | 12,7 x 20,4 x 4 cm. | Peso | 0,55 kg. |
Descrizione |
T itolo completo: «I Bianchi e i Neri. Pagine di storia fiorentina da Bonifazio VIII ad Arrigo VII per la vita di Dante». «In questa seconda, e di nuove cure vantaggiata, edizione delle mie Pagine di storia fiorentina per la vita di Dante, che Ulrico Hoepli, benemerito anche degli studi danteschi, abbellisce di quattro fotoincisioni, ho voluto che primeggiasse nel titolo la dicitura I Bianchi e i Neri, anziché la designazione dei due termini Da Bonifazio VIII ad Arrigo VII, fra i quali la storia di quelle due fazioni fiorentine di Parte Guelfa si svolse. Modificando così il titolo della prima edizione, non solamente credo di averlo meglio appropriato all’argomento del mio libro, ma intendo altresì di aver posto in sempre maggior rilievo l’intima e non mai interrotta congiunzione delle vicende e degli spiriti di Parte Guelfa con le vicende e gl’intendimenti della Vita di Dante; quali, se interpretati a dovere, si specchiano nelle Opere sue, dalle minori alla maggiore, il Poema. Da quando, nella morte di Federigo svevo, Parte Guelfa drappellò, sulla rovina di Parte Ghibellina, «il gìglio per division fatto vermiglio», giglio rosso in campo bianco, rimanendo ai Ghibellini l’antico giglio bianco in campo rosso, il Comune fiorentino si affermò Guelfo; e Guelfo, contro ogni resistenza più o men valida, contro ogni tentativo più o meno violento, rimase poi sempre. Comune guelfo, cioè che nel bilanciamento della devozione, da Guelfi e da Ghibellini partecipata, verso i due provvidenziali poteri, Chiesa ed Impero, sovrastanti all’umanasocietà, propendeva alla Chiesa, laddove il Comune ghibellino all’Impero; ma soprattutto, gelosa custoditrice, Firenze, dei propri diritti di libero popolare Comune, così dalle cupidigie chiesastiche come dalle pretensioni cesaree. È mio profondo convincimento, non sommosso da passione storica, ma lentamente maturato lungo il paziente studio dei fatti, che Dante non abbia cessato mai d’esser guelfo, quale era nato e cresciuto, quale aveva in patria a difesa di Parte Guelfa operato, quale era stato di tale opera condannato all’esilio ed, eventualmente, alla morte. Dante, Guelfo di quella Parte Bianca chevirilmente difese contro le invadenti ambizioni di papa Bonifazio le libertà del Comune; e alle libertà dei Comuni d’Italia auspicatore del leale patrocinio d’un Impero, che ne infrenasse le fratricide discordie, tutti come “suoi uomini” accogliendo i cittadini sotto il “sacrosanto segno” dell’Aquila di Roma e di Dio; Dante, Guelfo Bianco, sospinto nell’esilio fra i Ghibellini, si trovò accomunata con essi la sorte, ma non accomunò egli il sentimento, la dottrina, la fede: che rimasero sentimento, dottrina, fede, di Guelfo; di Guelfo imperialista, con devozione alle istituzioni popolari, dai Ghibellini rifiutate e combattute per sacrificarle volenterosi all’Impero. Prima di scindersi in Bianchi e Neri, Parte Guelfa era stata una cosa stessa col Comune, era stata essa il Comune; alle cui istituzioni, significate nella parola “Popolo”, quelle della Parte erano intrinsecamente coordinate e congiunte: e il predominio dei Bianchi aveva fedelmente continuata quella tradizione di governo. Avvenuta, per ragioni men politiche che personali e di classe, la scissione, pur rimanendo guelfa così l’una come l’ altra fazione, giovò ai Neri, rimasti con la forza signori di Firenze, accreditare l’accusa che i loro avversari, e prima della cacciata avesser fatta lega coi Ghibellini, e dopo cacciati la riaffermassero. E a tale accusa prestò favore lo essersi in Firenze, anche Guelfa Nera, continuati gli ordini di governo democratici, ormai connaturati con l’esistenza del guelfo Comune e più forti di qualsivolesse mutamento settario. Ma ciò non tolse che i proscritti Guelfi Bianchi, ancoraché mescolati nell’esilio coi Ghibellini, si trovassero sì ad aver comuni con questi gli interessi di proscritti, le aspi-razioni al rimpatrio, i tentativi ; ma tali rimanessero tuttavia, da non poter esser loro addossato il nome di Ghibellino senza limitazioni ed eccezioni essenziali. Limitazioni ed eccezioni che la realtà contemporanea sentì e improntò nella denominazione di “ghibellini per forza”, e la retorica biografica del Boccaccio sfigurò nella persona del massimo anzi sovraneggiante fra cotesti violentati, facendo dell’Alighieri un Ghibellino goffamente rabbioso, quale poi si è letterariamente e antistoricamente tramandato alle età sempre meno adatte a rivivere quella che fu di Dante. Basta il Poema, se altro de’ suoi scritti non fosse, basta il Poema a smentire cotesto sfiguramento: anzi bastano, nel Poema, il Farinata e il Cacciaguida; e in suggello, il canto di Giustiniano, che è il libro di Monarchia poetato. Di tale poeta poi fare il Ghibellino per eccellenza, argomentandolo principalmente dalla tremenda severità de’ suoi giudizi sugli uomini di Chiesa, è un arrovesciare i termini della verità: la quale è, invece, che tale severità, nel Poeta rigidamente cattolico, fosse in proporzione dell’alto cristiano concetto che egli aveva del Pontificato; ed è altresì un addossare ai Guelfi e ai Ghibellini d’allora le passioni e le dottrine con le quali quei nomi, per analogie sostanzialmente fittizie, son rifioriti ai dì nostri. A questa tesi io sono, ne’ miei contributi danteschi, ritornato più volte, espressamente argomentando sui fatti e sulle autentiche testimonianze. Il libro che oggi, nell’anno seicentenario 1921, si ristampa, è tutto una conferma, e perché indiretta per ciò stesso maggiormente valida, di quelle argomentazioni. Le quali e il libro vorrei fossero efficaci a raddirizzare sentenze, ne’ cui avvolgimenti la retorica da un lato, la passione partigiana dall’altro, secondate dal ripetere i molti ciò che ormai dissero gli altri, hanno, a mio fermo e sereno avviso, alterate essenzialmente le diritte e semplici ragioni della storia e della verità». [Isidoro Del Lungo, Firenze, 1 Gennaio 1921]
Indice:
|
||
Note bibliografiche |
Seconda Edizione con correzioni e giunte, a copertina morbida in cartoncino muto dotata di sovracoperta editoriale illustrata in bicromia (rosso e nero); rilegata a filo; stampata su carta opaca di buona grammatura; coste delle pagine non rifilate; arricchita da tavole fotografiche in B/N f.t. con velina protettiva. |
||
Stato di conservazione |
Ottimo [a livello strutturale, non si rilevano danni, strappi, usure pesanti, logorii o scritte degni di nota; la legatura è snodata e resistente; l’ingiallimento alle pagine è inevitabile, vista l’età, ma non disturbante e nella norma, considerata anche la qualità della carta in quegli anni; coste un po’ impolverate; copertine morbide mute quasi intatte; sovracoperta ben tenuta, senza rotture o abrasioni di rilievo, con velature di polvere ai piatti] |
Informazioni aggiuntive
Peso | 0,55 kg |
---|---|
Dimensioni | 12,7 × 20,4 × 4 cm |
Edizione | |
Luogo di pubblicazione | Milano |
Anno di pubblicazione | |
Caratteristiche particolari | |
Formato | |
Illustrazioni | |
Genere | |
Soggetto | |
Colore principale | |
Lingua |
Condition | Very Good |
---|---|
Notes | A livello strutturale, non si rilevano danni, strappi, usure pesanti, logorii o scritte degni di nota; la legatura è snodata e resistente; l'ingiallimento alle pagine è inevitabile, vista l'età, ma non disturbante e nella norma, considerata anche la qualità della carta in quegli anni; coste un po' impolverate; copertine morbide mute quasi intatte; sovracoperta ben tenuta, senza rotture o abrasioni di rilievo, con velature di polvere ai piatti. |
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.