“L’amico Roda – come succede spesso tra amici – ha cortesemente insistito perché portassi il mio piccolo contributo a questa sua preziosa ricerca su Dino Buzzati. Per una volta avendo avuto modo di incontrare Buzzati in alcune occasioni – preferisco lasciare i panni dell’intenditore di fotografie, per raccontare ciò che ricordo di questi incontri, tanto rari quanto estremamente intensi e significativi.
Era da poco passata la metà degli anni Cinquanta quando – poco più che trentenne – incontrai per la prima volta Dino Buzzati. L’amico commune Salvatore Fiume, al quale mi legava un sodalizio fraterno e che frequentava, insieme con molti altri artisti e intellettuali, la mia casa di Piazza S. Ambrogio (che ha conservato molte tracce di questa splendida stagione di incontri), l’amico Totò, dicevo, mi aveva parlato di questo ombroso «direttore della Domenica del Corriere», allora cinquantenne, già molto noto come scrittore, giornalista di qualità, pittore e «fumettista».
Furono il fascino di un personaggio che avevo conosciuto attraverso due suoi libri che più avevo amato («ll deserto dei Tartari» e «Bårnabo delle montagne») e le tante insistenze dell’amico a farmi accettare l’idea di un appuntamento con lui. Era anche il periodo dei Saloni del Fumetto a Bordighera (un’esperienza indimenticabile con Chris Marker, Umberto Eco, Eveline Sullerot, Alain Fesnais, Topor e l’amico Giovanni Gandini) e l’abilissimo Totò mi aveva fatto balenare la possibilità di vedere i famosi ««fumetti» che notoriamente Buzzati scarabocchiava.
Per di più, mi aveva anche parlato di una certa passione di Buzzati per la fotografia concludendo – ricordo – con un perentorio: «Vi dovete proprio conoscere». L’appuntamento era fissato per le cinque della sera (ricordo che poi ci scherzammo sopra, rifacendo il verso a Garcia Lorca) nella austera sede del
Corriere della Sera in via Solferino. Ci andai in compagnia di Salvatore Fiume: già l’ingresso nella «fucina del mago» fu per me un evento.
Salimmo al primo piano e ci fecero accomodare («il direttore viene subito») in una sala chiusa – lo ricordo con grande precisione – da una splendida porta a vetri colorati di un liberty fiammeggiante. Nel centro, una grande serratura, forse in ferro battuto, senza chiave. Nell’attesa, Totò si sprecò in raccomandazioni: «Mi raccomando, non partire in quarta, non aggredirlo con il tuo entusiasmo come fai di solito. È molto timido e chiuso. Lascia parlare lui e stai prevalentemente a sentire».
Un attimo dopo, il mio amico si ammutolì per un momento, poi cambiò improvvisamente discorso, portandomi verso la finestra. Mi fece un cenno. Dietro i vetri colorati della porta liberty era comparsa velocemente un’ombra: «È lui!», mi disse sottovoce invitandomi a guardare fuori della finestra e intrattenendomi sul panorama (panorama?) che si vedeva da quell’apertura su Milano. Con la coda dell’occhio seguivo l’ombra al di là della vetrata. Si muoveva avanti e indietro e non si decideva ad entrare.
Ad un certo punto, vidi l’ombra chinarsi e la testa si avvicinò al buco della serratura. Totò – che probabilmente sapeva tutto – mi sussurrò: «Fa’ finta di niente!» e mi tirò per la manica verso il centro della sala. Passato l’esame-serratura (che allora mi impressionò molto, ma che oggi ricordo con grande tenerezza per la fragilità del grande uomo), vidi la porta aprirsi e, con piglio impetuoso, il grande direttore, si, proprio lui, Dino Buzzati, entrò sorridendo austeramente, tendendomi la mano in una franca stretta e scusandosi per il ritardo: «Sono stato trattenuto in tipografia!»: mentì, a giustificare l’attesa.
Non so se fu la lusinghiera presentazione di Fiume, o il mio sguardo franco ed ammirato, o qualche altro meccanismo innescato da quella preliminare sbirciata furtiva da noi completamente ignorata: fatto sta che incominciammo a conversare, trovando subito un ampio terreno d’intesa su argomenti che probabilmente si annidavano nel profondo del suo cuore: Belluno, le Dolomiti, lo sci, Emilio Comici, Cortina, le arrampicate, l’incanto delle Pale, il fascino di certi boschi dove sei assordato dal ronzio degli insetti d’estate.
La sintonia immediata allungò l’incontro dal quarto d’ora stabilito ad oltre un’ora e ci lasciammo con la promessa di rivederci. Grande amico di Salvatore Fiume era Raffaele Carrieri, siculo come lui e, come lui, amico di Buzzati. Nacque, sempre da Totò, l’idea di creare un «quartetto»: ci ritrovammo a cena una sera, in una deliziosa e rustica trattoria della zona Garibaldi, di cui non ricordo né la via né il nome. Ricordo benissimo, invece, sia alcuni argomenti di quella lunga serata, sia gli schizzi e gli scarabocchi che Buzzati tratteggiava in continuazione su qualunque pezzo di carta gli capitasse a tiro.
Tra i quattro, ero certamente il meno attrezzato a sostenere l’enciclopedica e pirotecnica conversazione che -ricordo – mi affascinò e conservo ancora come un’esperienza unica…”
[Lanfranco Colombo]
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.