Giuliano Martin, Giorgione negli affreschi di Castelfranco, Ed. Electa, 1993

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Giorgione è incomprensibile al di fuori di quel ribollire di filosofie, matematiche, magie, lingue morte o colte, esplodenti bouquets di proposte di ogni genere, che furono allora Venezia ed il Veneto

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Descrizione

Edizione Electa, Milano, 1993 Illustrazioni Fotografie e disegni in B/N e a colori
Schede Pietro Caselli, Giacinto Cecchetto, Danila Dal Pos e Andrea Zanzotto Fotografie Giuliano Martin e Fulvio Roiter
N. Volumi 1 Nr. Pagine 181
Dimensioni 25,8 x 28,7 x 2 cm. Peso 1,44 kg.
Descrizione

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iù di una volta ho pensato a quanto sarebbe stato bello trovare in aperta campagna una cappellina che al posto di un dipinto a dichiarato soggetto religioso tradizionale avesse presentato la Tempesta di Giorgione. Trovare questo emblema primo, e poi qua e là tutte le figurazioni accettate dalla pittura: e ciò a testimonianza di una mai esistita riconciliazione di tutti gli dèi e di tutti gli archetipi, non solo per una ristretta categoria di iniziati, ma a livello popolare.

Eppure allora, in quegli anni demonici e indiavolati tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, in terra veneta come altrove in Italia era cominciato un processo di convergenze e di convivenze, si stava realizzando una sintesi che pur conservava tutte le antitesi più vigoreggianti.

Giorgione, che è nel cuore di questa storia e che pur sembra appena sfiorato dalla storia, è comunque incomprensibile al di fuori di quel ribollire e ibridarsi di filosofie, matematiche, magie, lingue morte o fetali, lingue colte o popolari, esplodenti bouquets di proposte di ogni genere, che furono allora Venezia ed il Veneto.

Finalmente ricongiunta alla terraferma come una testa al suo corpo antichissimo, Venezia era anche divenuta nascente ‘Galassia di Gutenberg’ e di mille altri stimoli culturali. Certo è che il connubio tra il polo lagunare e quello terragno diede origine ad una delle più ricche vigne o selve o giardini della creatività umana, e sfidando un tornado di guerre, peste, fame.

Rimane oggi da chiedersi cosa mai abbiamo noi a che fare con Giorgione. Noi che, divenuti ormai lebbra, fisicamente, abbiamo con minuzia devastato il suo territorio geografico, che avrebbe richiesto per il suo carattere di essere appena appena carezzato da interventi cauti e ‘devoti’, noi che non sappiamo più cosa sia, né se esista, l’arte, che ne ricerchiamo un’identità stravolgendone tutte le possibili identità.

Ma Giorgione persiste ad indicarci qualcosa intorno all’arte, senza svelarlo del tutto, ma lasciandocene un’irreparabile voglia, mancamento, febbricola (vietato parlare di febbre). Chi era quest’uomo, per sempre giovane, distrutto da una peste essa pure accanitamente giovane ed attiva? Quest’uomo sopraffatto egli stesso dalla crescita di una forza e coscienza vitali, insinuanti più che violente, ricche di pudore nel loro contatto con un inevitabile enigma, morbide eppure capaci di precipitare all’improvviso in un atto che non può non essere fulmineo?

Ecco la Tempesta, appunto, con la sua folgore assiale ed eccentrica: che rivela tutto ed insieme nega tutto, che sbarazza la scena di ogni possibile proposta esegetica rendendola insufficiente, vanifica ogni necessaria propedeutica, irrompe al di là di ogni ‘progetto’ o ‘intenzione’ dello stesso autore. Quella folgore-guida è connessa ad uno squarcio, al venir meno di tutta una catena di rimozioni durate per secoli, è il corto circuito di una fine e di un inizio: che tuttavia offre nuove ragioni anche a
quanto resta e deve restare nascosto o seminascosto.

Ed è vero che da allora pare che tutto sia cambiato; più ancora: continuamente stimolato a cambiare, in un gioco che conduce nelle vicinanze di quella luce che è propria dell’ombra. Così sentiamo che nella pala non c’è la pala, che l’opera ‘non è mai qui’. Ce lo insegna la semi-religione che ha la sua tavola nella Tempesta e che ci porta ad accostarci all’opera d’arte come all’apertura provvisoria su una scena dove noi non saremo mai e dove filtra tuttavia la nostra storia confrontata con un altrove.

Ma, infine, non è detto che il corpo della terra veneta, certo sopravvivente sotto le molte piaghe, in taluni suoi recessi non conservi ancora qualche barlume di “Giorgionemi’ o “Tizianemi’ sovrapposti quali tocchi di maestri diversi nello stesso ‘telèr’. Giorgione va dunque cercato anche là.

Si possono fare buoni incontri: magari in quei veri astroporti che sono certe osterie sui cocuzzoli di colli che stanno in quegli orizzonti. Si potevano fino a qualche anno fa incontrare lassù donne vecchissime, ormai ignorate da ogni anagrafe, che sapevano trattare i rari clienti con la più fine bizzarria, amavano parlare solo con Dio e con le galline, ma campavano con misteriose voci giovanili. Non è escluso che una di loro abbia posato per la Venere di Dresda”.

[Andrea Zanzotto]

 

Indice:

  • Prefazione, di Andrea Zanzotto
  • Premessa, di Giuliano Martin
  • Castelfranco Veneto: nascita di una città, di Giacinto Cecchetto
  • Capitolo I – La città affrescata
  • Capitolo II – Due ipotesi per una nascita
  • Capitolo III – Giorgione e Castelfranco
  • Capitolo IV – Gli affreschi nella facciata del palazzo Bovolini Soranzo
  • Capitolo V – Gli affreschi di casa Marta
  • Capitolo VI – I fregi di casa Costanzo
  • Capitolo VII – Le Nude di palazzo ora Menegotto
  • Capitolo VIII – Lo studiolo di via Preti
  • Capitolo IX – Palazzo Almerighi De Castellis: gli affreschi e la storia d’una famiglia
  • Capitolo X – Un Giorgione dimenticato e uno ritrovato?
  • Conclusione
  • Bibliografia
Note bibliografiche

Prima Edizione del 1993, a copertina rigida in tela bianca, con titoli in nero al dorso; dotata di sovracoperta opaca fotografica a colori; rilegata a filo; stampata su carta semi-lucida di buona qualità e grammatura, con layout del testo su tre colonne; ricca di fotografie e disegni in B/N e a colori.

Stato di conservazione

Più che Ottimo [il volume non mostra danni strutturali, strappi, segni, mancanze o usure gravi che vadano evidenziate; legatura compatta e robusta; copertine rigide pressoché intatte; sovracoperta in buono stato e senza rotture, con minori abrasioni ai bordi e diffuse impolverature ai piatti; coste abbastanza luminose; ingiallimento delle pagine ridottissimo]

Informazioni aggiuntive

Peso 1,44 kg
Dimensioni 25,8 × 28,7 × 2 cm
Edizione

Luogo di pubblicazione

Milano

Anno di pubblicazione

Caratteristiche particolari

Formato

Illustrazioni

Genere

Soggetto

Colore principale

Lingua

Condition Very Good
Notes Il volume non mostra danni strutturali, strappi, segni, mancanze o usure gravi che vadano evidenziate; legatura compatta e robusta; copertine rigide pressoché intatte; sovracoperta in buono stato e senza rotture, con minori abrasioni ai bordi e diffuse impolverature ai piatti; coste abbastanza luminose; ingiallimento delle pagine ridottissimo.

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